GIUSTIZIA

Ruby 3: la Procura di Milano farà il “saltum” in Cassazione

Ruby 3: la Procura di Milano farà il “saltum” in Cassazione

Lui non c’è più e non dovrà più denunciare l’ennesima persecuzione giudiziaria subita dalla Procura di Milano. Ma la “morte del reo” estingue il reato per il reo, non per i suoi coimputati. Così il processo Ruby 3 non è finito, resta virtualmente aperto. Silvio Berlusconi, accusato di corruzione giudiziaria per aver pagato una trentina di testimoni per indurli a mentire sulle feste del bunga-bunga di Arcore, è stato assolto in primo grado con tutti gli altri, variamente accusati di falsa testimonianza e di concorso in corruzione giudiziaria.

Fino alla fine di giugno la Procura ha tempo per presentare il ricorso contro le assoluzioni (tranne quella di Berlusconi). Lo farà? I due pm, il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il sostituto Luca Gaglio, stanno attenti a censurarsi non solo le parole, ma perfino le espressioni facciali. In queste ore però dovranno prendere una decisione, insieme al capo dell’ufficio, il procuratore della Repubblica Marcello Viola.

I dubbi non riguardano tanto se fare o no il ricorso, ma come farlo e a chi presentarlo. Perché la via usuale è il ricorso in appello; ma c’è anche la possibilità della “revisio per saltum”, cioè di impugnare l’assoluzione direttamente davanti alla Corte di cassazione. Lo prevedono gli articoli 569 e 606 del codice di procedura penale. Per capire se la Procura di Milano farà il “saltum”, bisogna ricordare come si era arrivati, il 15 febbraio 2023, all’assoluzione in primo grado.

La settima sezione penale del tribunale di Milano, presieduta da Marco Tremolada, non aveva valutato i fatti, cioè i pagamenti che il fondatore di Forza Italia aveva elargito alle ragazze delle feste e agli altri testimoni, che avevano poi raccontato ai giudici dei processi Ruby 1 e Ruby 2 che quelle di Arcore erano “cene eleganti”; ma aveva stabilito che le imputate non potevano essere considerate testimoni, perché andavano indagate già all’epoca. Se non erano testimoni, svanisce l’imputazione di falsa testimonianza; e, non essendo testimoni, non erano neppure pubblici ufficiali, dunque svanisce anche il reato di corruzione (che solo un pubblico ufficiale può commettere).

Questa impostazione ha prodotto un’assoluzione basata non sull’analisi dei fatti, ma su una considerazione prettamente giuridica: l’impossibilità per l’indagato di essere anche testimone e pubblico ufficiale. Ma i pm hanno sostenuto in aula che invece gli imputati avevano mantenuto la qualità di testimone e pubblico ufficiale e ora potrebbero ricorrere direttamente in Cassazione, in punto di diritto, contro l’impostazione giuridica dei giudici che hanno assolto.

Che gli imputati fossero legittimamente testimoni e pubblici ufficiali è stata la tesi prevalente fino alla sentenza Tremolada. È stata accettata pacificamente da otto collegi di giudici (tre del Ruby 1 e cinque del Ruby 2). È stata apertamente sostenuta anche dai due giudici dell’udienza preliminare che avevano già seccamente respinto l’ipotesi di considerare le ragazze imputate e non testimoni: la gup Laura Anna Marchiondelli aveva rinviato a giudizio le “olgettine” e gli altri imputati sostenendo che l’obbligo di iscrivere una persona nel registro degli indagati, secondo le Sezioni unite della Cassazione, “nasce solo ove a carico di una persona emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti”; e il gup Carlo Ottone De Marchi aveva rinviato a giudizio Berlusconi ribadendo che sui testimoni pendeva in passato solo “un mero sospetto”, senza la “presenza di specifici elementi indizianti che avrebbero comportato l’iscrizione nel registro delle notizie di reato”.

È la tesi sostenuta anche dai giudici di Siena che hanno condannato per falsa testimonianza, nel maggio 2021, Danilo Mariani, il pianista del bunga-bunga, considerandolo legittimamente testimone e pubblico ufficiale. Non hanno contestato queste sua qualifiche neppure i giudici che, nell’ottobre seguente, lo hanno assolto dall’accusa di corruzione in atti giudiziari, ritenendo che i suoi comportamenti processuali fossero stati dettati da motivazioni “professionali e amicali”. Se la Procura di Milano sceglierà, nelle prossime ore, di fare il “saltum” in Cassazione, questa potrebbe dirimere la questione giuridica (testimoni o imputati?) e poi rimandare ai giudici dell’appello il giudizio sui fatti.

Fatto quotidiano, 28 giugno 2023
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