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Ubi, a processo i vertici della terza banca italiana

Ubi, a processo i vertici della terza banca italiana

Andranno a processo, i vertici di Ubi Banca e il presidente emerito di Banca Intesa Giovanni Bazoli. Lo ha deciso il giudice dell’udienza preliminare di Bergamo Ilaria Senesi, che ha disposto il rinvio a giudizio per 30 imputati, tra cui l’amministratore delegato di Ubi Victor Massiah, il presidente Andrea Moltrasio, i vicepresidenti Mario Cera, Flavio Pizzini e Armando Santus, oltre alla consigliera Francesca Bazoli e alla banca come persona giuridica.

La gup ha pienamente accolto le richieste del pubblico ministero di Bergamo Fabio Pelosi, che al termine di una lunga inchiesta condotta con il Nucleo valutario della Guardia di finanza aveva chiesto il processo per ostacolo agli organismi di vigilanza e per indebite influenze sulla formazione dell’assemblea. Sarà un processo alla finanza di relazione italiana, con alla sbarra, questa volta, non ex banchieri ormai caduti in disgrazia, ma l’intero gruppo dirigente in carica della terza banca italiana, insieme all’esponente più noto della cosiddetta finanza cattolica. Secondo l’accusa, i vertici di Ubi hanno tenuto nascosto a Banca d’Italia e Consob il patto occulto che ha garantito ai due gruppi di potere che lo avevano fatto nascere il dominio sull’istituto di credito, in spregio ai diritti degli azionisti di minoranza.

Ubi è nata nel 2007 dal matrimonio tra la bresciana Banca Lombarda, presidiata da Bazoli, e la bergamasca Bpu (Banche Popolari Unite). I due sposi stilano subito un patto raffinatissimo che permette ai due gruppi fondatori di decidere tutte le cariche sociali e di spartirsele, alternandosi al comando e tenendo fuori gli altri azionisti. A decidere i vertici, secondo l’accusa, non erano gli organi sociali dell’istituto e il comitato nomine, ma le due associazioni di azionisti che riunivano i soci fondatori: i bergamaschi “Amici di Ubi” guidati da Emilio Zanetti; e i bresciani dell’“Associazione Banca lombarda e piemontese” presieduta da Bazoli, assistito dalla figlia Francesca.

Gli accordi tra le due “famiglie” hanno funzionato senza intoppi fino al 2013, quando all’assemblea dei soci si presentano due liste alternative, “Ubi banca popolare!” di Andrea Resti e “Ubi banca ci siamo” di Giorgio Jannone, ex parlamentare di Forza Italia. Di fronte al pericolo che arrivino gli “invasori”, il patto stretto da Bazoli e Zanetti mette il turbo e fa scattare un piano d’emergenza per vincere a tutti i costi l’assemblea, con presentazione di firme false, deleghe in bianco, voti raccolti impiegando militarmente i dipendenti e le agenzie, oltre alla Compagnia delle Opere di Bergamo e all’associazione artigiani Confiab. Risultato: la “Lista 1” delle due associazioni vince con 7.340 voti, ma quasi 5 mila provengono da deleghe rilasciate da assenti.

Scattano allora le proteste e le denunce. Dei risparmiatori dell’Adusbef allora presieduto da Elio Lannutti; dell’azionista di minoranza Giorgio Jannone; e dell’economista Andrea Resti, per conto dei cinque consiglieri di minoranza. E parte l’indagine della Procura di Bergamo che si chiude nel novembre 2016. Poi inizia una lunghissima udienza preliminare che è stata già quasi un processo, con le difese impegnate a cercare di smontare le accuse (e con la Banca d’Italia, uno degli organismi di vigilanza parti offese, che non si è neppure costituita parte civile). Bazoli, già presidente di Intesa, era restato nel board di Ubi fino al 2012, quando il governo Monti aveva fatto scattare il decreto sull’interlocking che vieta i doppi incarichi in banche concorrenti. Era però restato presidente dell’associazione bresciana che riunisce i soci storici dell’ex Banca Lombarda e da quel posto non istituzionale aveva continuato, insieme a Zanetti, a decidere i destini dell’istituto.

“Ha sempre agito per il bene della banca”, hanno sostenuto i suoi difensori nell’udienza preliminare. Dopo aver appreso del suo rinvio a giudizio, Bazoli ha dichiarato: “Prendo atto della decisione, che era prevedibile in considerazione dei limiti propri dell’udienza preliminare. Il dibattimento sarà certamente la sede più adeguata per accertare che l’intero impegno da me dedicato alla nascita e all’avvio di Ubi è stato improntato alla massima correttezza e trasparenza”.

 

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Il Fatto quotidiano, 28 aprile 2018
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