AFFARI

Bazoli-Zanetti, il patto segreto per controllare Ubi Banca

Bazoli-Zanetti, il patto segreto per controllare Ubi Banca

Un patto occulto, nascosto al mercato e alle autorità di controllo, permetteva a Giovanni Bazoli ed Emilio Zanetti di controllare Ubi, la quarta banca italiana. Il pm della Procura di Bergamo Fabio Pelosi ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per 39 persone. Sono, secondo l’accusa, i protagonisti di una grande macchina costruita per mantenere il controllo sulla banca e pilotare dall’esterno le assemblee dei soci. Anche usando firme falsificate, deleghe in bianco, voti raccolti impiegando militarmente i dipendenti e le agenzie, oltre all’associazione artigiani Confiab, la Compagnia delle Opere e la Sodali spa.

L’indagine condotta dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza, guidato dal generale Giuseppe Bottillo, ha svelato che Ubi Banca, nata nel 2007 dalla fusione tra la bergamasca Bpu e la bresciana Banca Lombarda, ha conservato i suoi due “padroni”, Bazoli per l’ala bresciana e Zanetti per quella bergamasca. Attraverso due associazioni di soci: a Bergamo gli “Amici di Ubi”, guidati da Zanetti; a Brescia la “Associazione Banca lombarda e piemontese”, presieduta da Bazoli assistito dalla figlia Francesca. I due gruppi e i loro padri nobili stringono patti segreti, nascosti agli organi di vigilanza (Consob e Bankitalia), per mantenere il controllo dell’istituto, alternandosi negli organismi di controllo ed escludendo “dalla gestione della banca soggetti estranei alle due associazioni”.

Ci riescono anche grazie al sostegno dei vertici della banca: il presidente del consiglio di gestione Franco Polotti, il presidente e il vicepresidente del consiglio di sorveglianza Andrea Moltrasio e Mario Cera, l’amministratore delegato Victor Massiah. Erano della partita anche Antonella Bardoni, presidente di Confiab, e Rossano Breno, in passato presidente della Compagnia delle Opere di Bergamo. I reati contestati sono ostacolo alla vigilanza e illecita influenza sull’assemblea. A Bazoli il magistrato contesta anche la violazione del divieto di mantenere due cariche in due gruppi concorrenti: era presidente di Intesa Sanpaolo, ma continuava a essere l’amministratore di fatto del gruppo Ubi.

Il patto raffinatissimo per avvicendarsi al vertice della banca funziona senza intoppi fino al 2013, quando si presentano in assemblea due liste alternative: “Ubi banca popolare!”, di Andrea Resti, e “Ubi Banca ci siamo”, promossa dall’ex parlamentare di Forza Italia Giorgio Jannone. Di fronte al pericolo, il patto stretto nel 2007 mette il turbo. La “Lista 1” delle associazioni di Bazoli e di Zanetti raccoglie con ogni mezzo voti e deleghe. Vince con 7.340 voti: 2.800 espressi da soci presenti in assemblea, ma quasi 5 mila da deleghe rilasciate da assenti. Le strutture della banca, le agenzie, i responsabili di area vengono utilizzati per raccogliere deleghe, anche all’insaputa dei clienti Ubi a cui si fanno firmare fogli in bianco. Sotto gli occhi distratti della Consob di Giuseppe Vegas, che solo nel maggio 2014 notifica a Ubi Banca un “atto di contestazione”. Mentre la procedura è in corso, Vegas, il vigilante, incontra i vertici della banca, vigilati sotto contestazione, i quali – intercettati – si dicono “soddisfatti” del contatto.

Una parte dell’indagine riguarda favori concessi a clienti della banca con operazioni svolte in conflitto di interesse. Italo Lucchini, del consiglio di sorveglianza Ubi, acquista dalla società Ubi Leasing, tramite la società Tuscany Charter della figlia Silvia, uno yacht, il “Beata of Southampton”, poi rivenduto a un prezzo di favore all’imprenditore Giampiero Pesenti, provocando alla banca un danno milionario.

A Pesenti e Silvia Lucchini vengono contestati anche mancati versamenti Iva e false fatturazioni. A Pesenti pure il reato di truffa o, in alternativa, di riciclaggio, per aver fatto risultare come charter (soggetto a sgravi fiscali) lo yacht che era invece privato. Un avviso di garanzia è arrivato ieri anche a Letizia Moratti, presidente di Ubi, per la responsabilità amministrativa dell’ente e il suo “modello organizzativo non idoneo alla prevenzione dei reati societari”.

Il Fatto quotidiano, 18 novembre 2016
To Top