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Non c’è due senza tre: indagini su tangenti Eni anche in Congo

Non c’è due senza tre: indagini su tangenti Eni anche in Congo

di Gianni Barbacetto e Giorgio Meletti |

I pm milanesi sono a caccia di tangenti Eni anche in Congo. Dopo aver avviato inchieste e processi per corruzione internazionale in Algeria e Nigeria, ora indagano anche su presunte mazzette proprio nel Paese africano dove ha iniziato la sua carriera, nel 1994, l’attuale amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi (già rinviato a giudizio per la vicenda nigeriana). Due giorni fa, il 5 aprile 2018, la Guardia di finanza ha eseguito una serie di perquisizioni a Milano, Roma e Montecarlo – come ha raccontato il Corriere della Sera – che hanno disvelato l’esistenza di un’inchiesta con sei indagati che riguarda le concessioni petrolifere in Congo, del valore di almeno 350 milioni di euro. Per ottenere il rinnovo della concessione, l’Eni avrebbe pagato un sovrapprezzo di circa il 10 per cento, preteso dalle autorità congolesi come promozione dell’economia del Paese.

I soldi sarebbero però andati a politici e amministratori, dunque pubblici ufficiali, della Repubblica democratica del Congo, attraverso una società, la Aogc (Africa Oil and Gas Corporation) controllata di fatto da Denis Gokana, consigliere del dittatore locale Denis Sassou Nguesso. Non solo: una parte di quel denaro sarebbe poi tornata a manager Eni italiani, attraverso una società britannica, la Wnr (World Natural Resources) che i pm milanesi Paolo Storari e Sergio Spadaro ritengono riconducibile a Roberto Casula, capo delle attività di esplorazione del gruppo petrolifero italiano (e imputato con Descalzi anche per la vicenda nigeriana). Alla Wnr sarebbe stato ceduto dalla congolese Aogc il 23 per cento dei suoi diritti d’esplorazione. Con Casula sono indagati la manager Eni Maria Paduano, l’ex dirigente Agip Andrea Pulcini, l’allora dirigente nigeriano di Agip Ernest Olufemi Akinmade, l’uomo d’affari Alexander Haly e la stessa Eni, in forza della legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle società.

La storia è antica. Gokana era il presidente della società petrolifera di Stato Snpc quando il predecessore di Descalzi, Paolo Scaroni (anch’egli imputato nel processo Nigeria) trattava accordi con il governo del presidente eterno, Sassou Nguesso. Tre anni fa la questione del rapporto tra Gokana e la società Aogc, da lui fondata nel 2003 e poi ceduta, fu sollevata da un articolo del Times che ricordava come Eni avesse ceduto alla Aogc una quota del suo business di estrazione del greggio in Congo. Il consigliere Eni Luigi Zingales fece notare alla presidente di Eni, Emma Marcegaglia, che già nel 2011 la società specializzata Risk Advisory aveva informato l’Eni che uno dei quattro personaggi a cui Gokana aveva ceduto le quote della Aogc era suo cugino.

Marcegaglia gli rispose accusandolo di condurre “un’attività di indagine di tipo inquisitorio” e di “accreditare sul piano della verità fattuale delle mere congetture giornalistiche”, e gli rivolse una dura intimazione: “Non posso consentire che sia messo in dubbio l’operato del management e delle strutture, in carenza di elementi materiali e gravi”. Due mesi dopo queste email, Zingales si è dimesso e le autorità americane hanno aperto un’inchiesta proprio sulla vicenda del giacimento congolese, Marine XII.

Già il 18 luglio 2014 la questione della corruzione internazionale era stata al centro di un duro scontro nel consiglio d’amministrazione Eni. Al solito Zingales, che sollevava dubbi sulle due diligence (le verifiche per essere certi che i partner locali non siano legati a pubblici ufficiali, non siano cioè lo schermo per tangenti agli uomini di governo), Descalzi rispondeva a muso duro. Dal verbale: “Fa presente che conosce da molti anni le persone in questione. Casula non ha avuto alcun avviso di garanzia. Sono comunque persone che lavorano in azienda da trent’anni, non hanno mai avuto una macchia e non si sente di criminalizzarli e di mandarli via. Sono persone rette e non dei criminali. (…) Ritiene legittimo che siano poste domande e sollevate questioni, nell’interesse della società, ma le insinuazioni, senza la conoscenza e la verifica dei fatti e delle persone, non sono accettabili, perché offendono la dignità delle persone”. Due giorni dopo Descalzi era a Brazzaville a firmare un nuovo accordo con il dittatore Sassou Nguesso, alla presenza del premier italiano Matteo Renzi.

All’assemblea di bilancio del maggio scorso, Descalzi ha così risposto alla domanda di un azionista: “Ulteriori approfondimenti effettuati in Congo da Eni non avevano individuato la presenza di legami familiari tra Gokana e Bantsimba, e la stessa Aogc aveva inoltre certificato a Eni l’assenza di rapporti familiari tra alcuno dei beneficiari della società e pubblici ufficiali”. La linea del negare sempre tutto, finora ha pagato. Descalzi regna indisturbato sull’Eni pur essendo indagato da tre anni e mezzo e oggi rinviato a giudizio per le mazzette nigeriane. Dei suoi sei riporti diretti, due (Casula e Antonio Vella) sono a giudizio, un terzo, Massimo Mantovani, è indagato come presunto capo dell’associazione a delinquere finalizzata a depistare le indagini milanesi, montando a Siracusa un processo farlocco per mettere nei guai Zingales.

 

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di Gianni Barbacetto e Giorgio Meletti | Il Fatto quotidiano, 7 aprile 2018
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