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Eni, il “complotto” contro Descalzi: rivelazioni o depistaggio?

Eni, il “complotto” contro Descalzi: rivelazioni o depistaggio?

Rivelazioni o depistaggio, le notizie che arrivano da Siracusa su un presunto complotto contro l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi? Per provare a capire, bisogna tornare al settembre 2014, quando da Londra piomba un fulmine a ciel sereno che cade su Roma e Milano: l’informazione che la procura milanese sta indagando Descalzi per corruzione internazionale. Sono i giudici londinesi della Southwark Crown Court a renderlo esplicito, accogliendo la richiesta dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro di sequestrare in via preventiva al nigeriano Emeka Obi due conti anglo-svizzeri di 110 e di 80 milioni di dollari. Secondo i magistrati italiani e britannici, sono soldi che provengono dall’affare Opl-245: il grande campo di esplorazione petrolifera in Nigeria di cui l’Eni aveva comprato nel 2011 la concessione, pagando 1 miliardo e 90 milioni di dollari. Allora Paolo Scaroni era amministratore delegato e Descalzi capo della divisione Oil.

I soldi andarono al governo nigeriano, ma a incassare fu anche un ex ministro del petrolio, Dan Etete, che per soli 20 milioni si era intestato, attraverso prestanomi, la concessione, ai tempi del dittatore Sani Abacha. La notizia arrivata da Londra fu una bella botta, per Descalzi, prima nomina pubblica importante dell’era di Matteo Renzi, che non aveva confermato al vertice di Eni il suo predecessore Scaroni. Secondo le ipotesi d’accusa, per ottenere la concessione Opl-245, l’Eni pagò una megatangente in Nigeria che in parte doveva rientrare in Italia. Protagonisti dell’operazione i vertici dell’azienda petrolifera, Scaroni e Descalzi, gli intermediari italiani Luigi Bisignani e Gianluca Di Nardo, i nigeriani Etete, Obi e il figlio dell’ex presidente Abacha, oltre al russo Ednan Agaev. Roba da farci un film di 007.

Era stato il pm napoletano Henry Woodcock, indagando sulla premiata ditta Bisignani e la cosiddetta P4, a tirar fuori dalla melma bituminosa i primi contatti tra l’ex ministro nigeriano Etete e l’italiano Di Capua, per piazzare la concessione petrolifera. Era il 2010 e le intercettazioni beccavano Descalzi preavvisare Bisignani che l’affare in Nigeria sembrava concluso. Poi tutto era tornato in alto mare e si era aperta la trattativa diretta tra Eni e Nigeria.

Nell’aprile 2011 Eni versa 1 miliardo e 90 milioni di dollari, Shell ne aggiunge altri 200. Nel 2013 però una causa civile a Londra rimette tutto in discussione. Il mediatore nigeriano Obi fa causa in Gran Bretagna a Etete che non gli riconosce il compenso per la mediazione. Deposita sms ed e-mail scambiati con Descalzi e documenta incontri come una cena tra Obi, Agaev, Etete e Descalzi all’Hotel Principe di Savoia di Milano. I giudici inglesi si convincono che Obi abbia ragione. Scaroni ribatte, in un’audizione al Senato: “Come sempre, non abbiamo dato una lira a nessuno, non abbiamo usato intermediari e abbiamo fatto la transazione solo con lo Stato nigeriano”. Nel frattempo, in Nigeria è cambiato il governo e il nuovo presidente eletto, Muhammadu Buhari, ha promesso pulizia e risposte alle rogatorie italiane. A questo punto arrivano le notizie da Siracusa: rivelazioni o depistaggio?

Il Fatto quotidiano, 29 giugno 2016
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