SEGRETI

Complotto Eni, così i pm di Milano hanno smontato i depistaggi

Complotto Eni, così i pm di Milano hanno smontato i depistaggi

Alla Procura di Milano è toccato districare il filo attorcigliato per anni dalle Procure di Trani e Siracusa. La pm Laura Pedio ora ha in mano un gomitolo con una trama intricata e oscura quanto una spy story internazionale che si dipana tra Italia e Nigeria e che puzza di spioni e di petrolio. Ha a che fare con l’Eni, questa storia, un centro di potere che pesa quanto uno Stato. È stata rimpallata per anni tra Procure e faccendieri, avvocati e manager. È la storia di un complotto. Coinvolge i vertici di Eni (l’amministratore delegato Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni), un paio di consiglieri indipendenti dell’azienda petrolifera italiana (Luigi Zingales e Karina Litvack) e arriva fino a evocare l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Sullo sfondo, faccendieri, petrolieri, spicciafaccende, manager, avvocati. Italiani, africani, mediorientali. E un grande affare internazionale, quello che ha portato Eni e Shell in Nigeria, a cercare petrolio nell’immenso campo d’esplorazione Opl 245, previo esborso (secondo il pm milanese Fabio De Pasquale) di una mega-tangente da 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Ma il complotto è reale o apparente? Vero o inventato? In un gioco in cui nulla è come sembra, è messo in scena per danneggiare oppure per favorire le vittime designate? E poi, chi sono le vittime e chi i burattinai? I pm di Milano rispondono ora a queste domande raccontando una commedia in quattro atti.

Atto primo
Trani, gennaio 2015

È il 23 gennaio 2015 quando arriva alla Procura di Trani un esposto anonimo. È il primo di una serie di tre che racconta un “programma criminoso” volto a “portare alla sostituzione dell’attuale manager Descalzi” con altri (l’amministratore delegato di Saipem Umberto Vergine, oppure l’allora ad di Telecom Franco Bernabè). “Per fare ciò, sarebbero state esercitate pressioni sul presidente del Consiglio Matteo Renzi”. Come? Un uomo d’affari siriano, tale Raduan, prende contatti con un imprenditore del Giglio Magico, Andrea Bacci. Poi, dopo che Renzi nel 2014 ha nominato Descalzi, si mette in moto “un meccanismo di delegittimazione del nuovo vertice Eni”.

Entrano in scena Gabriele Volpi, “noto imprenditore italo-africano” che opera in Nigeria, in contatto con l’imprenditore pugliese Roberto De Santis, uomo vicino a Massimo D’Alema. Alle manovre anti-Descalzi – sostiene l’anonimo – partecipano anche Zingales e gli avvocati Antonino Cusimano, capo dell’ufficio legale di Telecom, Luca Santamaria, legale di Bernabè, e Bruno Cova. Zingales avrebbe collaborato alle manovre “per condizionare l’operato del management di Eni spa e far crollare il titolo in Borsa”.

Sullo sfondo, le inchieste aperte dalla Procura di Milano – da quel guastafeste di De Pasquale – su Eni-Saipem-Algeria e su Eni-Opl245-Nigeria. Nella seconda, Descalzi, insieme al predecessore Scaroni e al “mediatore” Luigi Bisignani, sono accusati per la megatangente petrolifera in Nigeria, parte della quale sarebbe tornata in Italia. L’Eni entra direttamente in partita consegnando ai pm di Trani, Carlo Maria Capristo e Alessandro Pesce, una serie di documenti, tra cui “varie comunicazioni di Luigi Zingales che avevano ad oggetto la vicenda Opl 245”. Gli anonimi, curiosamente, mostrano subito di sapere ciò che solo dentro l’Eni si sa, per esempio che i pm avevano acquisito anche le email tra Zingales, critico contro le eventuali pratiche illegali di Eni, e la presidente Emma Marcegaglia.

L’anonimo fa arrivare in Procura anche una registrazione audio in cui si sente la voce di due persone che si scopriranno essere Alessandro Ferraro e Massimo Gaboardi. Chi è Gaboardi? “Si tratta di un soggetto particolarmente qualificato”, secondo l’anonimo, “in quanto socio di fatto di tale sig. Pietro Varone, ex dirigente Saipem, “una delle persone che insieme ad un emissario nigeriano del famigerato Gabriele Volpi ha partecipato alla organizzazione della macchinazione”.

Atto secondo
Siracusa, agosto 2015

Nuova scena, esterno notte. Il 13 agosto 2015, il sedicente imprenditore Alessandro Ferraro presenta una denuncia alla Procura di Siracusa in cui racconta di essere stato sequestrato nella notte da tre uomini, due neri e un italiano con accento milanese. Interrogato, racconta al pm Giancarlo Longo una storia praticamente identica a quella arrivata anonima a Trani: c’è un complotto contro i vertici Eni, è all’opera “una organizzazione diretta da elementi stranieri che hanno come obiettivo quello di colpire l’attuale ad di Eni spa Claudio Descalzi. Tale organizzazione, per quanto mi è stato riferito, conta sull’appoggio all’interno di Eni spa di due consiglieri d’amministrazione, Luigi Zingales e Karina Litvack”.

Il 28 ottobre 2015 Ferraro deposita ai pm un documento chiamato “Report n.1” firmato da Massimo Gaboardi. Contiene la stessa storia già raccontata dagli anonimi a Trani: c’è un’organizzazione internazionale che vuole influire sulla gestione di grandi società pubbliche italiane come Eni e Telecom. Avrebbe tentato, per tramite di tale Raduan Khawthani, uomo d’affari mediorientale in contatto con gli imprenditori renziani Marco Carrai e Andrea Bacci, d’imporre a Renzi la nomina di Umberto Vergine al vertice di Eni.

Poiché, “nonostante le forti pressioni e condizionamenti, il presidente del Consiglio italiano non ha ceduto e ha indicato quale amministratore delegato di Eni spa l’ing. Claudio Descalzi”, è partita una campagna diffamatoria. “I servizi nigeriani hanno invaso le email di Eni con una serie di informazioni destinate ad essere messe a conoscenza, tra gli altri, dei citati consiglieri d’amministrazione Zingales e Litvack. Acquisite le email, i due consiglieri si muovevano con forza per ottenere una sorta di commissariamento di fatto di Eni spa”.

Gaboardi fa entrare in partita anche un nuovo personaggio: “So che hanno offerto ingenti somme di denaro a tale Vincenzo Armanna ex dirigente Eni che odia Descalzi ed Eni. Armanna però ha rifiutato. So che vi era un particolare interesse dell’ing. Umberto Vergine”. Armanna parla al pm siracusano e gli racconta dei rapporti d’affari tra manager Eni (Vergine) e personaggi come Volpi e uomini dell’intelligence nigeriana (il generale Aliyu Gusau). Racconta che un nigeriano, Kase Lawal, gli ha proposto un trading di pietre preziose provenienti dall’Uganda e dal Mozambico gestito in Sicilia da Gaboardi. E gli ha chiesto, in cambio di 2 milioni di dollari, di “demolire Descalzi”, proteggere Scaroni e favorire Vergine.

I manovratori della campagna, dunque, erano Vergine, Varone e Volpi, con il sostegno interno all’Eni di due consiglieri, Zingales e Litvak. Già che c’è, Armanna aggiunge che gli era stato chiesto di “diffondere l’informazione, falsa, sul finanziamento da parte dell’intelligence israeliana delle campagne elettorali” di Matteo Renzi. Armanna per un po’ si presta al gioco, ma poi – dice – “rifiutai la proposta perché la ritengo una porcata e non si può distruggere l’Eni in questo modo”.

Intanto però un risultato i complottisti lo ottengono: l’8 luglio 2016 i pm di Siracusa mandano un avviso di garanzia per diffamazione aggravata a Vergine, Zingales e Litvak e un nuovo invito a comparire a Gaboardi. Curioso: per la diffamazione si procede solo in seguito a querela di parte e nessuno ha finora querelato i tre. Pochi giorni dopo, il 15 luglio, il procuratore Giordano si libera del caso, mandando gli atti a Milano. Fuori tempo massimo, il 28 luglio 2016, quando il fascicolo è ormai già a Milano, il direttore degli affari legali di Eni, Massimo Mantovani, curiosamente “sana” l’anomalia e invia a Siracusa la querela di parte contro i tre.

Atto terzo
Milano, luglio 2016

Interno giorno. Il 15 luglio 2016 il fascicolo processuale arriva a Milano, nelle mani del pm De Pasquale. Il magistrato sente subito puzza di depistaggi e capisce che le manovre squadernate a Siracusa potrebbero avere come obiettivo quello di azzoppare la sua indagine per corruzione internazionale su Opl 245 in Nigeria, con indagati Scaroni, Descalzi e Bisignani. Legge le carte, interroga i personaggi coinvolti e smonta rapidamente il “grande complotto”.

Appura senza troppa fatica che Alessandro Ferraro, il “grande accusatore” dell’indagine di Siracusa, è “persona che ha subito numerose condanne per ricettazione, truffa, falsità materiale, sostituzione di persona, uso abusivo di carte di credito”, con “attività lavorativa piuttosto instabile” e già in passato arrestato e condannato. Il pm sente Varone, che riesce a smontare punto per punto le dichiarazioni di Ferraro e Gaboardi sul suo conto. E il renziano Bacci? Sì, aveva parlato con Raduan Kawthani e questo gli aveva detto che Umberto Vergine era il “candidato ideale” per la carica di amministratore delegato Eni, ma era soltanto una “blanda raccomandazione” rimasta senza alcuna conseguenza.

De Pasquale riesce velocemente a ribaltare la prospettiva. Quelli che secondo Trani e Siracusa avrebbero ordito il complotto sono piuttosto vittime del complotto ordito da chi lo denunciava. Più complesso – ricostruisce De Pasquale – il ruolo di Armanna, che cammina in equilibrio come un funambolo tra diversi campi di forza. Si offre lui al pm di Siracusa come testimone e gli racconta che gli era stato chiesto di danneggiare Descalzi con interviste ai giornali. Aveva già concesso una clamorosa intervista a Repubblica uscita il 7 ottobre 2014 (“Eni, parla il grande accusatore: cinquanta milioni di tangenti. Descalzi agli ordini dei nigeriani”). Intanto a Milano aveva testimoniato contro Descalzi davanti al pm De Pasquale nell’inchiesta su Opl 245.

Scrive De Pasquale: “In sostanza, le dichiarazioni di Armanna in ordine ad offerte di denaro da parte dell’imprenditore nigeriano Kase Lawal per rilasciare altre interviste contro Descalzi potrebbero avere una base di verità, ma ciò in nessun modo consente di affermare che quanto esposto negli scritti anonimi recapitati a Trani, e fatto proprio successivamente da Ferraro e Gaboardi – cioè il complotto di manager, servizi segreti nigeriani e consiglieri indipendenti per detronizzare Descalzi – abbia fondamento. Le affermazioni di Armanna sulla possibilità che i consiglieri indipendenti possano essere stati ‘strumentalizzati’ risultano infatti dichiaratamente suggestive e ipotetiche”.

Quanto alla diffamazione – conclude De Pasquale – “non vi è il minimo elemento di fatto per ritenere che dietro il proliferare di email anonime su presunte malefatte di manager Eni ci sia stata la mano dei consiglieri indipendenti Zingales e Litvack e dell’ex amministratore delegato di Saipem Umberto Vergine”. Per questo il pm il 20 marzo 2017 chiede l’archiviazione delle accuse a loro carico. Si apre così l’ultimo atto di questa vicenda.

Atto quarto
Milano, oggi

Siamo alla scena finale di questa vaudeville, con il rovesciamento dei ruoli. Entra in partita la pm della Procura di Milano Laura Pedio. Se i “diffamatori” sono vittime innocenti, i colpevoli devono essere coloro che li hanno indicati come “diffamatori”. Quelli indicati come i registi del “complotto” (Vergine, Varone, Zingales, Litvack) sono in verità le vittime di un “complotto” architettato da coloro che si erano presentati a Trani e Siracusa per denunciare il “complotto”: Ferraro e Gaboardi, in combutta con alcuni personaggi nigeriani (Kase Lawal, Christopher Adebayo Ojo, Frank Abuja, Frank Orobosa, Alison Madueke, Aliyu Gusau).

Ma hanno fatto tutto loro? E perché mai? C’è qualcun altro, dietro e sopra di loro? Pedio dovrà trovare le risposte. Intanto comincia a essere già chiaro che personaggi squalificati come Ferraro e Gaboardi avevano più solide sponde dentro l’Eni: come l’avvocato siracusano Pietro Amara, “legale esterno di Eni spa” in processi per reati ambientali. Amara, Ferraro, Gaboardi e “altre persone interne ad Eni spa in corso di identificazione” sono ora indagate dalla Procura di Milano per associazione a delinquere, ha scritto Luigi Ferrarella sul Corriere della sera l’8 settembre 2017: per aver “concordato e posto in essere un vero e proprio depistaggio”, tramite “più delitti di calunnia, diffamazione, false dichiarazioni e favoreggiamento”, attraverso “esposti anonimi e denunce” alle Procure di Trani e di Siracusa nel 2015-2016 e “false dichiarazioni al pm di Siracusa”.

Tutto ciò per “intralciare lo svolgimento dei processi in corso a Milano contro Eni e i suoi dirigenti” (Descalzi e Scaroni, indagati con l’“esterno” Bisignani). E “per screditare i consiglieri indipendenti di Eni spa, Luigi Zingales e Karina Litvack”. Ora la pm Pedio dovrà mettere la parola fine a questa storia.

 

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Versione estesa di un pezzo uscito suI Fatto quotidiano, 10 settembre 2017
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