MILANO

Abbatto, non abbatto, abbatto… San Siro: l’affare di Sala, Scaroni, Salini

Abbatto, non abbatto, abbatto… San Siro: l’affare di Sala, Scaroni, Salini

Uno svarione in un discorso perfetto si nota subito. Un discorso fatto tutto di svarioni, paradossalmente, suona organico, accettabile, compatibile, normale. Il discorso del sindaco di Milano su San Siro è così. È da cinque anni una raccolta di svarioni, un florilegio di errori, un’antologia di strafalcioni. E siamo ormai anestetizzati: accettiamo come normali cose dell’altro mondo.

Per anni Giuseppe Sala ha trattato l’abbattimento del Meazza con l’amico Paolo Scaroni, eterno presidente del Milan, chiunque faccia finta di averne la proprietà (vedi inchiesta in corso). In un buffo mercato dei tappeti, Scaroni chiedeva mille per ottenere cento e Sala era disposto a dargli anche di più. Un grattacielo e il centro commerciale urbano più grande d’Europa, per abbattere lo stadio icona di Milano e costruirne uno nuovo. Una operazione immobiliare miliardaria con la scusa del nuovo stadio.

Sala Marchese del Grillo (copyright Luigi Corbani) è il padrone di casa che dice sì all’inquilino che vuole abbattere l’appartamento in cui abita perché non gli piace più e pretende di costruirne uno nuovo con i soldi di chi glielo affittava (cioè con i ricavati dell’operazione immobiliare).

Dopo anni di suq, l’opposizione dei cittadini e la prevedibile previsione che il Meazza non si può abbattere (lo ha detto la Soprintendenza) fanno cambiare recita a Sala: fino al momento prima non si poteva ristrutturare e bisognava abbatterlo, ora non bisogna abbatterlo e si deve ristrutturare. “È la Scala del calcio!”, scopre in diretta Instagram. Ce l’avesse detto prima avremmo risparmiato cinque anni di suq.

Comunque il Meazza è salvo. Tutto è bene quel che finisce bene e la storia dovrebbe essere finita qua. Invece ora – chi l’avrebbe mai detto – comincia la parte più esilarante (o inquietante) della vicenda. Ogni volta che Sala apre bocca sullo stadio è un nuovo svarione. La ristrutturazione che prima diceva impossibile ora diventa obbligatoria.

Ma bisognerà pur fare una gara europea per scegliere il progetto e il costruttore? No. Sala del Grillo ha già deciso tutto lui. Dà come già approvato il progetto dello Studio Arco che gli è stato gentilmente passato da un consigliere comunale di Forza Italia. E dà come già incaricato della ristrutturazione Webuild, l’impresa di Pietro Salini (a cui ha appena regalato 100 milioni di Atm per comprarsi M4 che già controllava).

Convoca i rappresentanti di Webuild, Milan, Arco come s’invitano gli amici per il te. Dimenticando, oltretutto, l’Inter, che si arrabbia. Scaroni, dopo cinque anni di mercato dei tappeti, non riesce a perdere l’abitudine di tirare sul prezzo e così continua il bluff dello stadio proprio da costruire (con chissà quali soldi) e San Donato. A questo punto, Sala avrebbe dovuto almeno far finta di uscire dal negozio di tappeti, come s’usa, per essere inseguito dal venditore che come di rito abbassa le pretese. Invece resta, farfuglia, s’adonta, dice: “Allora vendo lo stadio!”. Come se fosse cosa sua, e non dei milanesi.

Poi gli passa il capriccio e prosegue gli accordi senza gara con Arco e Salini sulla ristrutturazione. Si mostra subito possibilista, senza nemmeno trattare, sulla pretesa di Scaroni di avere la piena proprietà dello stadio rinnovato. Ma come mai a Sala piace il progetto di Arco e invece diceva che era impossibile realizzare quello, precedente, di Aceti-Magistretti?

Lo si capisce guardando la simulazione grafica del progetto Arco: un meraviglioso Meazza rinnovato che sorge dalla nebbia azzurrina nella luce dell’alba, con il nuovo anello e accanto – sorpresa! – due imponenti grattacieli. Ecco: l’affare immobiliare per le squadre è confermato, senza nemmeno il costo dello stadio nuovo. Intanto Sala ha fatto un esilarante ricorso al Tar contro la Soprintendenza. Nella speranza che il Tar dica che il vincolo non c’è? In quel caso, chissà, Sala2 tornerà Sala1 e ricomincerà a dire che il Meazza va proprio abbattuto.

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Il Fatto quotidiano, 15 marzo 2024
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