GIUSTIZIA

“Cacciatelo dal Csm”. Magistratura democratica contro Davigo

“Cacciatelo dal Csm”. Magistratura democratica contro Davigo

Cacciate Piercamillo Davigo dal Csm. Il 20 ottobre il magistrato compirà 70 anni, dunque sarà collocato a riposo. Potrà restare membro del Consiglio superiore della magistratura anche da pensionato? La questione è stata posta su Questione Giustizia, giornale di Magistratura democratica, dal suo direttore, Nello Rossi. “Chi non appartiene più alla magistratura può continuare a esercitare le funzioni di amministrazione della giurisdizione e quelle di giudice disciplinare?”. La domanda –  retorica, sottintesa la risposta: no – apre un articolo pubblicato online il 31 luglio, sotto il titolo “Sta per nascere al Csm un caso Davigo?”.

Non “sta per nascere”: viene fatto nascere da Rossi, che di fatto chiede che Davigo lasci il Csm. Conseguenza immediata: non partecipare alle udienze della sezione disciplinare che a partire dal 15 settembre giudicherà Luca Palamara, il magistrato protagonista dello scandalo che ha fatto letteralmente deflagrare il Consiglio superiore. È appena stata rigettata l’istanza di ricusazione di Davigo come giudice disciplinare nel procedimento nei confronti di Palamara. Ma ecco che ora si sostiene che Davigo non possa giudicare Palamara perché dovrà lasciare il Csm.

La questione non si era mai posta prima d’ora. Mai nessun componente del Csm se n’è andato prima della scadenza del suo mandato. Davigo diventa invece “un caso”. Anche se la sua situazione non c’entra nulla con quella (evocata) di Vittorio Borraccetti, di cui il primo dei non eletti al Csm chiese la decadenza con un ricorso al Tar (comunque poi rigettato dal Consiglio di Stato) perché aveva fatto una domanda di proroga in servizio, secondo il ricorrente, in ritardo.

Ma che cosa dicono la Costituzione e la legge del 1958 che istituisce il Csm? Dicono che i componenti eletti nel Consiglio restano in carica quattro anni e non possono più essere immediatamente eletti. Non dicono che andare in pensione sia causa di decadenza. Cause di decadenza sono le condanne penali, le sanzioni disciplinari superiori all’ammonimento, le attività incompatibili (successe al leghista Matteo Brigandì, nel 2011: dichiarato decaduto per non essersi dimesso per tempo da amministratore di una società commerciale). La legge istitutiva non fa distinzioni neppure tra “togati” e “laici”. Perché non escludere i professori universitari in pensione, ma i magistrati sì?

A un procuratore, già al momento della nomina, è espressamente richiesto che deve garantire quattro anni di servizio. Non ai membri del Csm. Davigo, eletto dai magistrati italiani anche per chiudere con le degenerazioni evidenziate dal caso Palamara, è poi stato nominato dal presidente della Repubblica componente della sezione disciplinare e presidente di altre due commissioni del Csm, quella su titoli e incompatibilità e quella sul regolamento: tutti incarichi della durata di quattro anni. Ora arriva qualcuno a sollevare il “caso Davigo”. E pensare che pareva ci fosse, semmai, un “caso Csm”.

Il Fatto quotidiano, 5 agosto 2020
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