MONDO, POLITICA

Di Pietro: “La Mani Pulite brasiliana non è una congiura contro Lula”

Di Pietro: “La Mani Pulite brasiliana non è una congiura contro Lula” Brazilian ex-president (2003-2011) Luiz Inacio Lula da Silva is carried by supporters after attending a Catholic Mass in memory of his late wife Marisa Leticia, at the metalworkers' union building in Sao Bernardo do Campo, in metropolitan Sao Paulo, Brazil, on April 7, 2018. Brazil's election frontrunner and controversial leftist icon said Saturday that he will comply with an arrest warrant to start a 12-year sentence for corruption. "I will comply with their warrant," he told a crowd of supporters. / AFP PHOTO / Miguel SCHINCARIOL
“È un film che noi in Italia abbiamo già visto”, dice sorridendo Antonio Di Pietro. È appena rientrato dal Brasile, dove ha incontrato il giudice Sergio Moro, “il Di Pietro brasiliano” che dalla città di Curitiba ha dato il via a Lava Jato, l’inchiesta sulla corruzione che, al suo culmine, il 7 aprile 2018 ha portato all’arresto di Luiz Inacio Lula da Silva, ex operaio, sindacalista e infine presidente del Brasile dal 2003 al 2011. Condannato a 12 anni per corruzione. “Negli anni di Mani Pulite, noi magistrati abbiamo subito molti degli attacchi che oggi toccano a Sergio Moro e ai suoi colleghi”.Il giudice brasiliano ha sempre dichiarato che Mani Pulite è il modello a cui si è ispirato, tanto da scrivere la prefazione all’edizione brasiliana del libro Mani Pulite (Maos Limpas, di Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio, edizioni Citadel). E un collega di Moro, il procuratore Rodrigo Chemim, per lo stesso editore ha scritto Maos Limpas e Lava Jato, un serrato confronto tra l’indagine italiana e quella brasiliana.

Ora il caso Lula ha riaperto anche in Italia le polemiche su Mani Pulite. Un articolo di Paolo Mieli sul Corriere della sera e un appello a favore di Lula sottoscritto da personaggi della sinistra italiana (da Romano Prodi a Massimo D’Alema, da Piero Fassino a Susanna Camusso, da Pier Luigi Bersani a Guglielmo Epifani) hanno fatto scattare un cortocircuito tra Mani Pulite e Lava Jato, tra Italia e Brasile.

Si può sostenere la prima, che ha portato alla scomparsa di cinque partiti politici italiani (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli), e condannare la seconda, che ha estromesso dalla competizione elettorale presidenziale il favorito Lula? Per non sembrare troppo incoerente, una parte dei sostenitori italiani di Lula se la cava accomunando le due operazioni giudiziarie, ma sostenendo che sono entrambi operazioni politiche, o per lo meno forzature giudiziarie per ottenere un risultato politico. Insomma: 26 anni dopo Mani Pulite, si può difendere Lula senza finire a difendere i boss di Tangentopoli?

“Non c’è stata alcuna forzatura giudiziaria né in Italia né in Brasile”, sostiene Di Pietro. “Sono convinto non solo che il confronto tra le due esperienze si possa fare, ma anche che entrambe siano inchieste condotte in modo esemplare, nel rispetto della legge e delle garanzie degli indagati. Gli attacchi li abbiamo subiti noi, nel 1992-93, quando ci criticavano dicendo che stavamo facendo un’operazione politica, e ora tocca ai magistrati brasiliani, accusati di fare una specie di golpe contro la democrazia. Invece stanno facendo soltanto il loro dovere, come facemmo noi con Mani Pulite. Hanno scoperto una corruzione sistemica e ambientale molto diffusa, proprio come è toccato di scoprire a noi in Italia con Mani Pulite. Quello a Lula non è stato affatto un processo politico”.

Di Pietro è convinto che le prove che hanno portato alla condanna del leader del Partido dos Trabalhadores siano solide, non deboli e inconsistenti come ritengono i sostenitori di Lula in Brasile e in Italia. “Certo, in Brasile c’è un sistema processuale perfino più farraginoso di quello italiano”, spiega Di Pietro, “con due livelli di giustizia, quello statale e quello federale, a cui si aggiunge per i politici un terzo livello, il cosiddetto ‘foro privilegiato’. Ci sono poi tre gradi di giudizio e la possibilità per tutti, a richiesta, di ricorrere infine alla Corte Suprema Federale, composta da soli nove membri: e qui si intasa tutto, con il possibile arrivo della prescrizione. Ma nonostante questo sistema, Lava Jato sta funzionando ed è riuscita a portare a giudizio molti corrotti e corruttori”.

La condanna di Lula è stata resa possibile da quella che in Brasile è stata chiamata “la legge sulla delazione”, che ha permesso la testimonianza determinante di un “pentito”, l’imprenditore Leo Pinheiro, il quale ha raccontato di aver messo a disposizione dell’ex presidente brasiliano un attico al mare come compenso per i contratti Petrobras del 2009. In Italia sappiamo che la legislazione premiale per i collaboratori di giustizia è stata voluta da Giovanni Falcone ed è stata preziosa, anzi insostituibile, nelle indagini antimafia. “Ed è stata preziosa anche in Brasile”, continua Di Pietro, “perché il matrimonio tra corrotto e corruttore si spezza soltanto se uno dei due parla. Arrestare qualcuno in flagranza di reato può capitare qualche volta, come è successo a me con Mario Chiesa, l’imputato numero uno di Mani Pulite. Ma poi per smantellare il sistema della corruzione è necessario che qualcuno lo riveli dall’interno”.

L’arresto di Lula ora gli impedisce di candidarsi alle elezioni presidenziali. Così il giudice Moro, dicono i suoi accusatori, si è fatto interprete di un interesse politico che fa molto comodo alle forze economiche che erano preoccupate per il suo possibile ritorno alla presidenza. Così, dicono, ha messo in atto una cospirazione che cambierà il corso della democrazia in Brasile. “Lo dicevano anche a me ai tempi di Mani Pulite”, sorride Di Pietro. “Ma i magistrati brasiliani indagano e condannano tutti quelli su cui trovano le prove. Sono convinto che proseguiranno in ogni direzione e che non guarderanno in faccia nessuno, né a destra né a sinistra”.

Il Fatto quotidiano, 18 aprile 2018
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