SEGRETI

Mario Mori, le sue tre vite dentro i misteri italiani

Mario Mori, le sue tre vite dentro i misteri italiani

Delle tre vite di Mario Mori, la terza è quella gloriosa: assolto nel 2023 nel processo sulla trattativa Stato-mafia, diventa un eroe della destra, e non solo. Viene raccontato come un protagonista della lotta antimafia ingiustamente infangato per anni dai magistrati siciliani che lo hanno messo sotto processo e, forse come riparazione, viene indicato come un uomo da ripagare con un seggio da senatore a vita. Fratelli d’Italia lo indica addirittura come candidato al Quirinale.

Ora le indagini riaperte su di lui (per strage) dalla Procura di Firenze sono destinate a riaccendere le polemiche politiche su Mori eroe da premiare o personaggio da indagare. E ad attirare di nuovo l’attenzione sulle sue due vite precedenti: la seconda, in cui si è occupato di mafia, e la prima, più sconosciuta, in cui ha solcato i mari del terrorismo nero.

La destra che oggi gli fa da sponda gli ha affidato in passato incarichi delicati, come la direzione del Sisde, il servizio segreto civile, che gli fu dato nel 2001 da Silvio Berlusconi. Eppure c’è un momento in cui Mori non era affatto amato dalla destra. Lo dimostrano i documenti sequestrati nel 1994 a Giancarlo Rossi, misterioso agente di cambio legato a Cesare Previti, arrestato con l’accusa di aver riciclato una parte della supertangente Enimont. In una valigetta nasconde anche un elenco di alti ufficiali dell’Arma da disinnescare e da trasferire.

Tra questi, Mario Mori, dal 1990 al 1999 ufficiale del Ros carabinieri, che secondo gli appunti di Rossi era un reparto da sciogliere, perché troppo autonomo e dunque incontrollabile. Poi la storia andò diversamente, il Ros proseguì la sua attività e Mori dovette essere considerato tanto affidabile da essere messo da Berlusconi, nell’ottobre del 2001, addirittura al vertice del Sisde.

Il fratello di Mori era stato dipendente del gruppo Fininvest, direttore della Standa di Catania negli anni in cui Cosa nostra minacciava con le bombe i grandi magazzini berlusconiani. Mori è l’uomo dell’arresto di Totò Riina, della mancata perquisizione del suo covo, della trattativa con Vito Ciancimino e Paolo Bellini, del mancato arresto nell’ottobre del 1995 di Bernardo Provenzano nel casolare di Mezzojuso.

Finita nel 2006 la carriera di uomo dello Stato, il generale-prefetto è corteggiato (da destra) prima da Gianni Alemanno, allora sindaco di Roma, che gli offre l’incarico di consulente della sicurezza, poi da Roberto Formigoni, allora presidente della Lombardia, che lo chiama nel comitato per la legalità di Expo 2015. Sfortunato, come controllore, visto il seguito, le indagini, “mafia capitale”, le corruzioni di Expo.

La prima vita di Mario Mori è quella meno conosciuta. Dal 1965 è comandante dei carabinieri a Padova, dal 1968 a Villafranca di Verona. Poi, dal 1972 al 1975, è a Roma al Sid, il servizio segreto militare. Nel 1974, subito dopo la strage di Brescia, riceve dal suo superiore, Federico Marzollo, l’incarico di coordinare l’attività informativa sull’attentato: fuori da ogni regola, perché il Centro Cs di Roma non aveva alcuna competenza sulla Lombardia.

Nell’estate del 1974 va di persona nel carcere di Venezia, a incontrare una reclusa, Ombretta, la fidanzatina del neofascista bresciano Silvio Ferrari, che lo aveva accompagnato in incontri molto delicati: nella caserma dei carabinieri di Parona; nella sede del Centro Sid di Verona; e a Palazzo Carli, sede del comando Nato della Ftase (Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa) di Verona. La ragazza, terrorizzata, promette a Mori che terrà la bocca chiusa. Ma questo sarà oggetto del nuovo processo sulla strage appena aperto a Brescia.

Mori passa al Nucleo Radiomobile dei carabinieri di Napoli, poi il 16 marzo 1978 (casualmente il giorno del sequestro Moro) va a comandare la Sezione polizia anticrimine di Roma. Qui ha una delega d’indagine sulla strage di Bologna e sull’omicidio del giudice Mario Amato assassinato dai neofascisti. Infine passa a Palermo, dove dal 1986 al 1990 è comandante del Gruppo carabinieri di Palermo 1. È il periodo dell’istruttoria sull’omicidio di Piersanti Mattarella, per cui allora era indagato Giusva Fioravanti (poi assolto).

Da investigatore, si è sempre trovato al centro delle trame eversive, armato del più alto grado del nulla osta di sicurezza, quel Nos Cosmic che gli permetteva di accedere ai segreti Nato. Una lunga storia dentro i misteri italiani, quella di Mori. Ora si apre l’ultimo capitolo.

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Il Fatto quotidiano, 22 maggio 2024
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