CONVIVENZE

Milano, Roma. Due Comunità ebraiche davanti a guerra e antisemitismo

Milano, Roma. Due Comunità ebraiche davanti a guerra e antisemitismo

di Gianni Barbacetto e Alessandro Mantovani /

È mobile il confine tra critica al governo d’Israele e antisemitismo. Le Comunità ebraiche italiane sostengono che quel confine sia stato ormai superato. E che a sinistra la critica alla politica israeliana sia diventata antisemitismo. L’invasione di Gaza dopo il pogrom di Hamas del 7 ottobre ha fatto emergere un sentimento antiebraico prima sopito e questo ha prodotto conseguenze nelle due Comunità ebraiche più numerose d’Italia, Roma e Milano, che rappresentano il 70 per cento degli ebrei italiani.

Le manifestazioni del 25 aprile ne hanno mostrato i due volti. Più “muscolare” la reazione a Roma. La polizia ha evitato lo scontro tra i gruppi della sinistra antisionista che presidiavano il monumento alla Resistenza di Porta San Paolo e centinaia di appartenenti alla Comunità ebraica, apparsi piuttosto minacciosi. A Milano, invece, lo spezzone del corteo della Brigata ebraica che innalzava le bandiere d’Israele è stato assaltato da un gruppo di ragazzi nordafricani usciti dal McDonald’s di piazza Duomo.

Milano/Paura degli arabi e appelli al confronto. A Milano la Comunità, 7 mila persone, 5 mila iscritti, è presieduta da Walker Meghnagi, che nell’attacco di Hamas del 7 ottobre ha perso una nipote che era tra i partecipanti del rave Supernova. Meghnagi preferisce non rilasciare dichiarazioni, neppure sulla sua amicizia con Ignazio La Russa. La sua lista ha battuto per pochi voti quella più laica e di sinistra guidata da Milo Hasbani, suo predecessore a Milano per sei anni e oggi vicepresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche in Italia (Ucei). “È un periodo triste. In Italia non c’erano fenomeni rilevanti di antisemitismo. Oggi ci sono: molti non fanno più distinzione tra ebrei, sionisti, israeliani. Mischiano tutto”, dice Hasbani.

“Una volta prevaleva anche nella Comunità milanese una linea più laica e di sinistra”, racconta Luciano Belli Paci, avvocato, “oggi la destra è cresciuta tra gli ebrei italiani come è cresciuta tra tutti gli altri italiani. Più ci si allontana nel tempo dalla Shoah e più si ammorbidisce la pregiudiziale antifascista. Ora pesa di più la paura per la demonizzazione d’Israele”.

E anche a Milano prevale non la tradizione antifascista degli ebrei italiani, ma i timori anti-arabi degli ebrei di famiglie che provengono da Paesi come la Libia, l’Egitto, il Libano. Provengono infatti da Tripoli, in Libia, le famiglie del presidente Meghnagi e del rabbino di Milano Alfonso Pedatzur Arbib.

“Sì, oggi prevale la paura che Israele possa scomparire”, conferma Emanuele Fiano, che è stato presidente della comunità ebraica milanese dal 1998 al 2001 e oggi è candidato del Pd alle Europee. Fiano è segretario nazionale di Sinistra per Israele, gruppo critico nei confronti della politica di Bibi Netanyahu: “Proprio lo striscione di Sinistra per Israele è stato attaccato il 25 aprile in piazza Duomo”, racconta, “su cui pure c’era scritto: ‘Due popoli, due Stati’. Gli attacchi antisemiti sono cresciuti. Io ricevo molti messaggi di minaccia. Uno di questi diceva: ‘Com’è andata la Pasqua? Avete impastato il pane azzimo con il sangue dei cristiani?’”.

Sinistra per Israele ha raccolto 1.500 firme per il manifesto “Dal 7 ottobre alla pace”. Altre 600 firme sono state raccolte dall’appello “Mai indifferenti” sottoscritto, tra gli altri, da Stefano Levi Della Torre e Gad Lerner. “Criticare Netanyahu non è antisemitismo”, ribadisce Fiano, “ma vediamo che l’odio antiebraico cresce attorno a noi, un odio non politico, ma etnico e razziale”.

Gadi Schoenheit, consigliere nazionale dell’Ucoi, spiega: “Nella comunità di Milano, più piccola ma molto più composita ed eterogenea di quella di Roma, ha comunque prevalso, seppur di poco, la linea di chi è favorevole alla politica di Netanyahu e sostiene la destra oggi al governo. Certo io non condivido l’attacco militare a Gaza di Netanyahu, ma non possiamo neppure dimenticare l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Quanto al 25 aprile, io non ho compreso perché portare in corteo, nel giorno della Liberazione dal fascismo, né le bandiere di Israele, né quelle della Palestina”.

Roma/Tutti con Israele “Gli altri marginali”. A Roma si discute meno. “Il 7 ottobre ha compattato tutti, oggi su Israele ci si divide poco e la discussione su Netanyahu è rimandata”, spiega Alex Zarfati, consigliere Ucei ed ex presidente della Consulta della Comunità romana. È la più grande d’Italia, circa 13 mila iscritti di cui 9 mila con diritto di voto e poco più di 3 mila voti alle ultime elezioni. Alle famiglie romane si aggiunge la componente tripolina, che per la prima volta, nel giugno 2023, ha eletto un presidente, Victor Fadlun, manager immobiliare.

La destra di governo conta, anche perché dal rapporto con gli ebrei trae legittimazione. In Senato con Fratelli d’Italia c’è Ester Mieli, un tempo nell’orbita Pd, poi portavoce della Comunità e di Gianni Alemanno quando era sindaco. Ma contano di più le strette relazioni con Israele, dove quasi tutti hanno parenti e amici. Lo stesso Zarfati ha la doppia cittadinanza, è un imprenditore che si divide tra gli alberghi di famiglia e le attività nel campo della comunicazione e della cybersicurezza. In quest’ultimo settore gli israeliani sono i più forti al mondo, le partnership con l’Italia sono iniziate vent’anni fa con l’affare Telit e arrivano alle ultime vicende del senatore Maurizio Gasparri.

Voci storiche dell’ebraismo progressista romano, intanto, si sono allineate o tacciono. Tra i pochi romani che che hanno firmato l’appello “Mai indifferenti” c’è David Calef: “Il tema è il rapporto con Israele e l’opportunità di criticare Israele quando è sotto attacco”, dice. “Quasi tutto viene letto nella chiave dell’antisemitismo e questo precede il 7 ottobre, riguarda anche gli insediamenti in Cisgiordania e ora le operazioni militari che non distinguono tra Hamas e civili. Il 7 ottobre ha prodotto un irrigidimento”, riflette Calef, già consulente di agenzie Onu e Ong per le emergenze umanitarie, cofondatore della rete europea JCall (European Jewish Call for Reason) contro l’antisemismo e per i “due popoli due Stati”, autore su hakeillah.com di un’articolata analisi critica delle accuse di genocidio rivolte dal Sudafrica a Israele. Presentata, non a caso, a Milano.

C’era anche Calef la sera del 28 aprile alla Casetta Rossa della Garbatella dove hanno organizzato un Seder di Pesach, una cena per la Pasqua ebraica. Tutti ebrei “non allineati o non appartenenti” alla Comunità. Tra gli organizzatori il Laboratorio ebraico antirazzista che esprime lo stesso “orrore” per la “carneficina del 7 ottobre” e per “la violenta campagna militare israeliana volta a punire collettivamente il popolo palestinese”.

Dopo il 25 aprile più di qualcuno, nella Comunità, ha manifestato preoccupazione per l’immagine offerta in piazza. Con le bandiere della Brigata ebraica c’erano quasi solo uomini, giovani e meno giovani, per lo più vestiti di nero. Da alcuni di loro è partito qualche petardo, sassate e minacce di stupro “come il 7 ottobre”, rivolte col megafono a una ragazza filopalestinese. “Bisognava portare le famiglie e i bambini”, dicono in molti, senza esporsi. Ha fatto discutere anche la rivendicazione bellicosa dell’ex presidente degli ebrei romani, Riccardo Pacifici.

La Comunità non ha risposto al Fatto. Il clima è pesante. Tutti parlano di episodi di antisemitismo: del vicino che ti guarda male perché hai le riviste della Comunità nella buca delle lettere, del tassista che ti chiama “giudìo di m…” ed “erano vent’anni che non succedeva”, dei “ragazzi che hanno paura di indossare la kippà” e delle “iniziative annullate perché la Digos non poteva garantire la sicurezza”. Il nemico non è solo a Gaza, è anche dietro l’angolo.

di Gianni Barbacetto e Alessandro Mantovani, Il Fatto quotidiano, 4 maggio 2024
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