SEGRETI

Abu Omar, il film. Come il Sismi si sottomise alla Cia

Abu Omar, il film. Come il Sismi si sottomise alla Cia

È il racconto di una pessima figura fatta dalla Cia e dai servizi segreti italiani. Ma anche di una ferita globale inferta alle leggi e alle Costituzioni. L’Italia ha dovuto “soggiacere” all’alleato americano. In nome di un baratto scellerato, e oltretutto mal riuscito: diritti umani in cambio di sicurezza. È Ghost Detainee, un film documentario scritto e diretto da Flavia Triggiani e Marina Loi, in questi giorni nelle sale.

Narra, tra Milano, Il Cairo e New York, il rapimento di Abu Omar, imam egiziano che predicava nelle moschee milanesi, rapito il 17 febbraio 2003 dalla Cia e portato in Egitto dove è stato imprigionato e torturato per mesi. È una delle tante extraordinary renditions che gli Usa di Bush realizzano nel mondo dopo l’attacco di Al Qaeda dell’11 settembre 2001: gli Stati Uniti “si levano i guanti” per fare una guerra al terrorismo anche con mezzi extralegali.

Ma è anche l’unico caso in cui un Paese amico, l’Italia, conduce una clamorosa inchiesta che riesce a individuare i responsabili e a condannarli. Sono 26 agenti della Cia che vengono beffati da un’indagine della Digos di Milano guidata da Bruno Megale e condotta dai magistrati Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, convinti che la legge debba essere uguale per tutti: “Uno Stato non può comportarsi come l’Anonima sequestri”.

Gli agenti americani, del resto, a Milano non cancellano le tracce, usano le carte di credito, lasciano la scia dei loro cellulari dal luogo del rapimento fino alla base Usa di Aviano. Giornalisti, studiosi, analisti italiani e americani ricostruiscono il rapimento, l’inchiesta, il processo. Compreso il coinvolgimento degli uomini del Sismi, il servizio segreto militare italiano, che vengono prima condannati, ma infine salvati dal segreto di Stato e da una sentenza della Corte costituzionale che costringe i giudici penali a pronunciare una sentenza di “non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato”.

Ci pensano quattro governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta) a porre il segreto e due presidenti della Repubblica (Napolitano e Mattarella) a concedere una grazia parziale anche per alcuni degli americani. L’esito è comunque impietoso: Abu Omar era un “pesce piccolo” da tenere sotto controllo (come già stava facendo la Procura milanese, che lo ha poi fatto condannare a 6 anni per terrorismo), ma il suo rapimento fu inutile, anzi controproducente: “Ha non indebolito, ma rafforzato il terrorismo islamico”, spiega nel film il giudice svizzero Dick Marty.

L’imam racconta in presa diretta la sua storia, il sequestro, le torture. Parlano la moglie Nabila Ghali, l’avvocato Carmelo Scambia. Parlano anche alcuni uomini del mondo dell’intelligence italiana: Nicolò Pollari, il direttore del Sismi salvato dal segreto di Stato; l’ex dirigente Sismi Umberto Saccone; il delegato per la sicurezza del governo Draghi Franco Gabrielli. Pollari continua a negare il coinvolgimento dell’agenzia “nell’azione”. Ma non parla dei rapporti con la Cia. Dice solo che “i servizi prendono informazioni”, poi “passano l’incombenza” agli operativi.

Si spinge un po’ più in là Gabrielli, che sfodera il verbo soggiacere: “Il nostro Paese dal dopoguerra a oggi ha avuto un ruolo che lo ha visto soggiacere agli interessi di potenze più significative, anche nell’ambito di alleanze liberamente accettate”. Per la vicenda, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché “il principio legittimo del segreto di Stato è stato con tutta evidenza applicato per impedire che i responsabili rispondessero delle proprie azioni”.

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Il Fatto quotidiano, 6 febbraio 2024
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