SEGRETI

Abu Omar. Storia di 007, segreti di Stato e diritti umani negati

Abu Omar. Storia di 007, segreti di Stato e diritti umani negati

Era una mattina grigia, come tante a Milano. Quel 17 febbraio 2003 – vent’anni fa – un uomo con una lunga barba incolta e nerissima stava camminando in via Guerzoni, a due passi dalla moschea milanese di via Jenner. Viene fermato da un uomo che si qualifica come poliziotto e gli chiede i documenti. D’improvviso, due persone gli arrivano alle spalle, lo sollevano di peso e lo cacciano a forza dentro un furgone che parte sgommando.

Così sparisce Hassan Mustafa Osama Nasr, 40 anni, conosciuto come Abu Omar, imam delle moschee di via Jenner e di via Quaranta, dove era noto per le sue prediche infuocate. Abu Omar scompare, di lui non si saprà nulla per molte settimane.

Era cittadino egiziano. In Italia aveva ricevuto lo status di rifugiato. Solo diciassette mesi prima, l’11 settembre 2001, Al Qaida aveva abbattuto le Twin Towers di New York con un’operazione mai vista prima. La risposta degli Stati Uniti era stata quella di scatenare una guerra senza quartiere (e senza regole) al terrorismo islamico. Una guerra che comprendeva anche le “extraordinary renditions”, rapimenti in giro per il mondo di persone sospettate di essere terroristi.

Abu Omar quel giorno viene portato nella base di Aviano, in Friuli, sede del 31st Fighter Wing dell’aeronautica militare degli Stati Uniti. Da lì è trasferito nella base aerea di Ramstein, in Germania. Infine viene inghiottito da una sede segreta ad Alessandria, in Egitto, dove per molti mesi viene tenuto prigioniero, interrogato, torturato.

La storia dell’imam scomparso riemerge ed esplode nell’estate 2006, quando arriva alle sue prime conclusioni visibili l’indagine della Procura di Milano, condotta sotto traccia da due magistrati che hanno fatto la storia di quella Procura, Ferdinando Pomarici e Armando Spataro. Con un’inchiesta da spy story hollywoodiana, identificano come responsabili del rapimento 26 agenti della Cia, aiutati dai vertici del Sismi, il servizio segreto militare italiano.

Tutti accusati di sequestro di persona. Tra i 26 americani ci sono il capocentro dell’agenzia a Roma, Jeffrey W. Castelli, e il capocentro di Milano, Robert Seldon Lady. Tra gli italiani, il direttore del Sismi Nicolò Pollari, i suoi numeri due Gustavo Pignero e Marco Mancini, e i capicentro Raffaele Di Troia, Luciano Di Gregori e Giuseppe Ciorra.

“La legge è uguale per tutti e lo Stato non può comportarsi come l’Anonima sequestri”, dicono Pomarici e Spataro. Sottolineano che il rapimento ha avuto l’effetto di sottrarre Abu Omar alla Procura di Milano, che lo stava indagando per la sua partecipazione a organizzazioni fondamentaliste islamiche, stava raccogliendo prove contro di lui e si preparava ad arrestarlo e processarlo.

Dopo il rapimento, i 26 americani rientrano negli Usa e scompaiono nel nulla. La Procura milanese chiede la loro estradizione in Italia. Ma il ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli, tiene la richiesta nel cassetto. Processati in contumacia a Milano, per tutti e 26 arriva una sentenza di condanna, con pene fino a 13 anni di reclusione. Mai eseguite. Anzi: nel 2013 interviene il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a concedere la grazia al colonnello Joseph Romano. Negli anni successivi, è il presidente Sergio Mattarella a concedere la grazia, totale o parziale, ad altri tre condannati definitivi: Betnie Medero, Bob Seldon Lady, Sabrina De Sousa.

“La legge è uguale per tutti e lo Stato non può comportarsi come l’Anonima sequestri”

Per gli italiani, la storia processuale è ancor più complicata. Mercoledì̀ 5 luglio 2006, è il governo Prodi a diffondere un comunicato di cinque righe: “Il governo ha assunto le dovute informazioni sul cosiddetto caso Abu Omar da parte delle strutture di intelligence nazionali che hanno ribadito la propria totale estraneità alla vicenda. Nel garantire, nel rispetto delle reciproche prerogative, la massima collaborazione alla magistratura per lo svolgersi dell’inchiesta in corso, il governo ribadisce la propria fiducia nella lealtà istituzionale delle strutture preposte alla garanzia della sicurezza nazionale”. In sintesi: abbiamo chiesto al Sismi e il Sismi ci ha detto che l’agenzia non è responsabile.

Non la pensano così i magistrati milanesi, che quel 5 luglio fanno arrestare Marco Mancini, capo della Divisione controspionaggio del Sismi (è lo stesso Mancini che nel 2020 avrà un misterioso incontro con Matteo Renzi all’autogrill di Fiano Romano). Per Mancini, i pm chiedono una condanna a 10 anni. Ma cala il segreto di Stato, tanto che la sentenza di primo grado (4 novembre 2009) decide il non luogo a procedere per Mancini e Pollari. In appello (15 dicembre 2010) il proscioglimento viene confermato.

Ma la Cassazione (19 settembre 2012) ribalta le carte: proscioglimento annullato, perché il segreto di Stato non può mai coprire un fatto-reato. Così il nuovo processo d’appello condanna (13 febbraio 2013) Mancini a 9 anni di reclusione e Pollari a 10. Ma intanto il segreto di Stato sul caso Abu Omar è confermato dai governi che si succedono (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), che aprono tutti conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato, ricorrendo alla Corte costituzionale contro pm e giudici.

La sentenza della Corte costituzionale (14 gennaio 2014) arriva a estendere il segreto di Stato a tutte le prove presentate nel processo, sostenendo che il segreto copre non un fatto-reato, ma gli assetti interni dei servizi di sicurezza e i loro rapporti con la Cia. La Cassazione (febbraio 2014) scrive critiche durissime alla decisione della Consulta, ma non può che prendere atto della sua pronuncia e annullare le condanne a Mancini, Pollari e agli altri tre agenti del Sismi: improcessabili per segreto di Stato.

Per favoreggiamento nel sequestro, sono indagati (e condannati) i funzionari del Sismi Luciano Seno e Pio Pompa, responsabile di un ufficio che aveva come compito d’intossicare l’informazione italiana. Indagato anche Renato Farina, per favoreggiamento: da giornalista del quotidiano Libero, lavorava, retribuito, per il Sismi e aveva cercato di carpire informazioni sulle indagini di Pomarici e Spataro. Ha patteggiato una condanna a 6 mesi di reclusione.

È infine la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (nel febbraio 2016) a stabilire che l’Italia, sollevando il segreto sul sequestro di Abu Omar, ha violato cinque diritti umani sanciti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo: “Il principio legittimo del segreto di Stato è stato con tutta evidenza applicato per impedire che i responsabili rispondessero delle proprie azioni”. Ad Abu Omar è stato riconosciuto un risarcimento di 1 milione di euro, a cui si aggiungono altri 500 mila euro a sua moglie, Nabile Ghali. Alla magistratura italiana va il merito di aver individuato, condannato o almeno tentato di condannare – unico caso al mondo – i responsabili di una “extraordinary rendition”.

Il Fatto quotidiano, 23 febbraio 2023
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