SEGRETI

Quella lettera a Mattarella per la giornata della Memoria delle vittime del terrorismo

Quella lettera a Mattarella per la giornata della Memoria delle vittime del terrorismo

Non sarà una stanca celebrazione di routine, quella di oggi al Quirinale. È, come ogni 9 maggio, la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. Si celebra dal 2007, ogni anno nel giorno in cui Aldo Moro fu ucciso dalle Brigate rosse. Questa volta, l’appuntamento istituzionale con i famigliari delle vittime, prima previsto al Senato, è stato spostato al Quirinale: con un retroscena che il Fatto è in grado di rivelare.

Il 21 marzo, le associazioni delle vittime delle stragi hanno mandato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella una lettera preoccupata in cui segnalavano che il nuovo governo presieduto da Giorgia Meloni “non ha ancora provveduto all’insediamento di un nuovo Comitato per l’applicazione della direttiva Renzi”, cioè per togliere il segreto ai documenti che riguardano le stragi italiane, come previsto dalla direttiva promossa da Matteo Renzi nel 2014 e poi ampliata nel 2021 da Mario Draghi che l’ha estesa anche ai documenti su Gladio e P2.

Attività interrotta con l’insediamento del governo Meloni, lamentavano i firmatari della lettera: Paolo Bolognesi (presidente famigliari strage di Bologna), Federico Sinicato (piazza Fontana), Manlio Milani (Brescia), Daria Bonfietti (Ustica), Ilaria Moroni (Archivio Flamigni).

“La nostra preoccupazione si estende, necessariamente, alla celebrazione del prossimo 9 maggio”, scrivevano i firmatari. “Quest’anno ricorrono alcuni importanti cinquantenari come quello della strage della Questura di Milano, quello dell’omicidio dell’agente Marino e dei fratelli Mattei, che meriterebbero una cornice e un approfondimento adeguato e non settario… È per questi motivi che Le chiediamo, Signor Presidente, di assumere l’iniziativa di tornare a celebrare la prossima giornata del 9 maggio al Quirinale, per evitare l’uso politico dei morti di diversa matrice che insieme abbiamo imparato a ricordare”.

Richiesta accolta. Il timore era anche quello di trovare a Palazzo Madama a fare da padrone di casa il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Cioè il politico che ebbe un ruolo centrale nella giornata del 12 aprile 1973, il “giovedì nero di Milano” che culminò nell’uccisione dell’agente di polizia Antonio Marino, 22 anni. Quel giorno era programmata a Milano una manifestazione della Maggioranza silenziosa “contro la violenza rossa”.

Cinque giorni prima, il 7 aprile 1973, il neofascista Nico Azzi aveva tentato di piazzare una bomba sul treno Torino-Genova-Roma, dopo essersi fatto vedere con una copia di Lotta continua ben in vista. Sbagliò l’innesco, si ferì, fu arrestato. La manifestazione già programmata a Milano divenne difficilmente gestibile dopo che era stata svelata la matrice nera della strage tentata da Azzi. La prefettura proibì il corteo.

La “destra in doppiopetto” rimase spiazzata, ma non seppe o non volle fermare i neri armati arrivati da tutta Italia. I dirigenti missini Franco Servello e Francesco Petronio, con Ignazio La Russa allora responsabile provinciale del Fronte della gioventù (l’organizzazione giovanile del Msi), marciarono verso la Prefettura per protestare contro il divieto del corteo.

Intanto in città si scatenò l’inferno. I fascisti assaltarono la Casa dello studente e l’istituto Virgilio, “covi dei rossi”. Si scontrarono con la Celere. In via Bellotti, due bombe a mano Srcm uccisero l’agente Marino e ferirono 13 poliziotti e un passante. Furono arrestati 150 manifestanti. Tra questi, Romano La Russa, fratello di Ignazio, che invece riuscì a non finire a San Vittore. Il Msi scaricò i neri di Ordine nuovo e indicò i due camerati che “avevano esagerato”, Maurizio Murelli e Vittorio Loi, che furono arrestati. Vecchie storie che tornano, nel giorno della Memoria. E che non possono essere azzerate dalla “pacificazione” chiesta da Giorgia Meloni, che assomiglia tanto un’impossibile rimozione della memoria.

 

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Il Fatto quotidiano, 21 aprile 2023
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