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Paolo Scaroni torna per la seconda volta sul luogo del delitto

Paolo Scaroni torna per la seconda volta sul luogo del delitto

Chissà che cosa ne pensa oggi il Financial Times. Nel 2002, quando Paolo Scaroni divenne amministratore delegato di Enel, il quotidiano londinese scrisse che appariva “alquanto ironico” il fatto che quel manager italiano fosse stato messo al vertice proprio dell’azienda pubblica da cui aveva comprato appalti a suon di tangenti: “Something that in retrospect is somewhat ironic”, si permise di commentare il compassato giornale della City.

Ora Scaroni torna sul luogo del delitto – e per la seconda volta: come presidente della più grande azienda pubblica italiana. Giorgia Meloni ha ceduto a Gianni Letta, a Luigi Bisignani, al mondo fin qui rappresentato da Silvio Berlusconi, ai poteri nazionali e internazionali che non hanno bisogno di riti e grembiulini per consolidare relazioni e stringere reti di potere.

Sì, Paolo Scaroni è come quelle figure che annunciano il tempo atmosferico nelle casette colorate antenate dei barometri. Per qualche periodo nella sua vita avventurosa ha dovuto rimanere nascosto dentro la “casetta della pioggia”, ma mai troppo dentro, né mai troppo a lungo. Era amministratore delegato della Techint, gruppo Rocca, quando nel 1992-93 fu arrestato due volte per corruzione. Confessò di aver pagato tangenti al Psi di Bettino Craxi per ottenere appalti dall’Enel: “Dal 1985 a oggi ho versato al Partito socialista circa 2 miliardi e mezzo di lire, sempre su richiesta dell’onorevole Balzamo, consegnandogli denaro a volte in contanti e a volte su conti esteri”. Patteggiò una pena di 1 anno e 4 mesi.

Cercò di spiegare che per ottenere appalti bisognava pagare: ma Scaroni era cugino di Margherita Boniver, ex ministro socialista; era amicissimo di Massimo Pini, l’uomo di Craxi nelle partecipazioni statali; aveva ottimi rapporti con Gianni De Michelis, ex doge socialista. Non si può dunque dire che fosse taglieggiato da un Psi estraneo e nemico. Uno dei cassieri di partito di Tangentopoli, Roberto Mongini, spiegò al magistrato Piercamillo Davigo: “Ma quale concussione, dottore, i concussi siamo noi: gli imprenditori ci corrono dietro per poterci pagare le tangenti prima che arrivino i loro concorrenti”.

Dopo le disavventure giudiziarie si eclissò, rientrando nella “casetta della pioggia”. Ma intanto realizzò il suo capolavoro: per conto di Techint e Pilkington comprò dallo Stato la Siv, un’ottima azienda Efim che produceva vetri per auto. La pagò soltanto 210 miliardi di lire: circa la metà del valore assegnatole da una perizia di Mediobanca. Così di Tangentopoli Scaroni fu due volte protagonista: la prima, come manager che comprava appalti pubblici in cambio di mazzette ai partiti, contribuendo a formare la voragine del debito pubblico che portò nel 1993 l’Italia sull’orlo della bancarotta; la seconda, come beneficiario delle privatizzazioni rese necessarie per salvare il Paese dai guasti di Tangentopoli, di cui era stato un primo attore.

Dopo aver realizzato questo colpo per il settore privato, Scaroni esce dalla casetta e nel 2002 torna al pubblico, quando Berlusconi lo nomina amministratore delegato dell’Enel, scatenando la sottile ironia del Financial Times. Nel 2005 diventa poi amministratore delegato della più strategica delle aziende italiane: Eni. Costruisce un formidabile sistema internazionale di relazioni e di potere. Consegna a Putin le chiavi dell’approvvigionamento energetico dell’Italia.

Torna nella “casetta della pioggia” quando viene indagato per tangenti Eni in Algeria e in Nigeria (con l’amico Bisignani), ma è infine assolto. Ora esce del tutto dalla casetta: non gli bastava la vicepresidenza di Rothschild, la presidenza del Milan e le tante altre cariche che colleziona. Torna in un posto di primo piano nel potere italiano, malgrado Meloni avesse altri programmi. Segno che il sistema di cui Berlusconi era garante, riti o non riti, continua.

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Il Fatto quotidiano, 14 aprile 2023
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