GIUSTIZIA

Le Olgettine? Testimoni, non imputate: lo hanno sostenuto finora 32 giudici

Le Olgettine? Testimoni, non imputate: lo hanno sostenuto finora 32 giudici

Oggi, tutti sottili giuristi. E tutti schierati a difesa della legalità, “perché la forma è sostanza”: gli stessi che non hanno mai accettato la condanna definitiva di Silvio Berlusconi per frode fiscale, ora difendono invece la sua assoluzione nel Ruby 3, deprecando l’imperdonabile errore dei pm che hanno considerato testimoni le ragazze che invece dovevano essere considerate imputate. Ed elogiando i tre giudici che finalmente se ne sono accorti.

Ma non è andata così. La loro non è una “scoperta” oggettiva e indiscutibile, è soltanto una possibile (e opinabile) interpretazione della legge. Contraddetta da otto collegi di giudici (tre del Ruby 1 e cinque del Ruby 2) che hanno emesso sentenze ritenendo che le ragazze fossero legittimamente testimoni. Ma soprattutto da due giudici dell’udienza preliminare che avevano già seccamente respinto l’ipotesi di considerare le ragazze imputate e non testimoni.

Il primo giudice è Laura Anna Marchiondelli che il 19 ottobre 2016, al termine della udienza preliminare in cui rinvia a giudizio le “olgettine” e gli altri imputati, scrive che l’obbligo di iscrivere una persona nel registro degli indagati, secondo le Sezioni unite della Cassazione, “nasce solo ove a carico di una persona emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti” e che questo “rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del Pubblico ministero”.

Ebbene, “gli odierni imputati del delitto di corruzione in atti giudiziari sono stati iscritti nel registro (…) in data 23 gennaio 2014, successivamente quindi alle dichiarazioni rese in qualità di testimoni, di tal che – facendo applicazione del principio enunciato dal Supremo Collegio – gli stessi sono stati ritualmente escussi, senza le garanzie di cui all’articolo 210” del codice di procedura penale (cioè senza difensore e senza la possibilità di non rispondere).

“Non è condivisibile la tesi difensiva secondo la quale il pm avrebbe dovuto procedere alla loro iscrizione sin dal 13 aprile 2012” (quando la Procura di Milano cominciò a indagare su possibili pagamenti di Berlusconi ai testimoni), perché “all’epoca sussisteva in capo agli odierni imputati un mero sospetto”.

Il secondo giudice è Carlo Ottone De Marchi, che al termine dell’udienza preliminare in cui il 28 gennaio 2017 rinvia a giudizio Berlusconi per corruzione in atti giudiziari ribadisce: “Gli odierni imputati (…) sono stati iscritti (…) in data 23 gennaio 2014, successivamente quindi alle dichiarazioni rese in qualità di testimoni”. “Non appare condivisibile la tesi difensiva secondo la quale il pm avrebbe dovuto procedere alla loro iscrizione nel registro delle notizie di reato sin dall’epoca del procedimento Green Fluff” (cioè la prima indagine volta ad accertare se Berlusconi avesse pagato due testimoni, Barbara Guerra e Iris Berardi).

Infatti “risulta come all’epoca sussistesse in capo agli odierni imputati un mero sospetto” “e non ci si trovava in presenza di specifici elementi indizianti che avrebbero comportato l’iscrizione nel registro delle notizie di reato da parte del pm e l’esame da parte del Tribunale con le forme di cui all’articolo 210”, cioè come indagate. Le ragazze, conclude il gup, “sono state correttamente escusse come testimoni, senza gli avvisi di legge e le loro dichiarazioni appaiono pienamente utilizzabili”.

Anche l’avvocato dello Stato, prima che la presidenza del Consiglio decidesse di ritirarlo dal processo proprio alla vigilia della sentenza, aveva nella sua arringa finale sostenuto la correttezza della procedura seguita. Il collegio del Tribunale presieduto da Marco Tremolada ha invece deciso – contro 32 giudici di una storia processuale durata vent’anni – di accogliere nel novembre 2021 l’istanza presentata tre anni prima, nel gennaio 2019, dalla difesa Berlusconi. E poi di ampliarne gli effetti nella sentenza d’assoluzione. L’appello deciderà chi aveva ragione.

Il giudice Marco Tremolada (al centro), in un’udienza del processo Eni-Nigeria

Il Fatto quotidiano, 21 febbraio 2023
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