POLITICA

Letizia Moratti: “Non sono di destra”. Ma davvero?

Letizia Moratti: “Non sono di destra”. Ma davvero?

Dice di “non riconoscersi più in questa destra”, Letizia Moratti. Ma in realtà ne pretendeva la candidatura a presidente della Regione Lombardia, come le era stato promesso, e solo quando Matteo Salvini ha tradito i patti e ricandidato Attilio Fontana, si è scoperta “di centro”, “liberale e popolare”, seguace niente meno che della “dottrina sociale della Chiesa”. Lo ripete nelle interviste al Corriere e a Otto e mezzo, sostenuta da partner struggenti come Alessandro Giuli (che le strilla: “Curriculum stellare!”).

“Candidandomi ho fatto una scelta”, dice lei. Più che scelta, reazione (stizzita) a un rifiuto, che l’ha obbligata a riposizionarsi sul mercato politico. “Sono stata contattata da personaggi nazionali del centrosinistra di altissimo livello”: non ne dubitiamo e aspettiamo di sapere chi sono. Invece non la racconta giusta quando dice di aver ricevuto – e rifiutato – molte proposte da destra.

O meglio, dice la verità quando sostiene che Salvini e Fontana hanno provato a offrirle di tutto pur di non farla candidare in Lombardia; ma dice il falso quando afferma di aver ricevuto anche proposte per entrare nel governo Meloni: così almeno garantiscono fonti governative, che smentiscono al Fatto che a Moratti siano mai stati offerti ruoli ministeriali. Lei ribadisce di essere sempre stata “un tecnico”.

In verità, in tutta la sua carriera (“stellare”) è stata un politico saldamente di centrodestra, perfettamente allineata con Silvio Berlusconi quando andò a presiedere la Rai, non certo da “tecnico”, ma con la missione politica di sgominare i tecnici di Claudio Dematté e imporre la restaurazione dei partiti, nominando direttori del Tg1 e del Tg2 Carlo Rossella e Clemente Mimun. Così al ministero della Pubblica istruzione, quando gli cambiò il nome, togliendo “pubblica”. Ignote poi le sue competenze “tecniche” nella sanità: ma poiché ripete che destra e sinistra “sono gabbie” e si richiama “ai contenuti”, ebbene proprio i contenuti qualificano la sua riforma della sanità lombarda come iperliberista e di destra.

Altro che “tecnico”. Divenne presiedente della Rai con la missione politica di sgominare i tecnici di Dematté e imporre la restaurazione nominando Rossella e Mimun. Al ministero della Pubblica istruzione cambiò il nome, togliendo “pubblica”. E ha fatto una riforma sanitaria iperliberista e di destra 

Mentre la pandemia metteva drammaticamente in luce l’assenza della sanità territoriale in Lombardia, Moratti varava una legge che lascia il territorio sguarnito come prima, ma intanto consegna compiutamente ai privati la sanità, pagata con soldi pubblici. “Dice chiaro ciò che neppure Roberto Formigoni aveva osato”, spiega Marco Fumagalli, il consigliere regionale M5s che è stato il suo grande oppositore, “stabilisce l’equivalenza dell’offerta sanitaria e sociosanitaria pubblica e privata, garantendo la parità di diritti e di obblighi per tutti gli erogatori, pubblici e privati. Questa regola, che a mio avviso è in contrasto con la legge nazionale, è la realizzazione dell’ideologia neoliberista a cui Moratti si è sempre ispirata”.

Conseguenze: le Case di comunità (che dovrebbero fare medicina territoriale e prevenzione) “oggi sono scatole vuote; domani, appena arriveranno i soldi del Pnrr, potranno essere fatte anche dai privati, che si butteranno sulla cura più che sulla prevenzione”. Non solo: “Moratti non ha accolto l’invito del ministero della Salute di accorpare le otto Ats che guidano la sanità in Lombardia, per avere un solo centro forte che pianifichi e programmi gli interventi sanitari, come in Veneto, in Emilia-Romagna, in Toscana. Lì il privato è al 10 per cento, e c’è una forte guida pubblica che stabilisce le regole d’ingaggio. Moratti invece, in una Regione con il privato oltre il 50 per cento, ha lasciato un centro debole che invece di programmare non potrà far altro che accettare le regole del mercato”.

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Il Fatto quotidiano, 20 novembre 2022
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