AFFARI

Calisto Tanzi, l’uomo che lavò la cattiva coscienza del sistema

Calisto Tanzi, l’uomo che lavò la cattiva coscienza del sistema

L’imbroglio milionario realizzato con i trasferelli, che tenne incredibilmente in scacco per un decennio autorità di controllo e banche internazionali, saltò il giorno di Santo Stefano del 2003, quando Calisto Tanzi fu arrestato. Ora se n’è andato, a 83 anni, il giorno di Capodanno 2022. Prima di quel Santo Stefano, era stato il condottiero invincibile di una multinazionale sbocciata nella provincia emiliana. Dopo quel giorno, il protagonista della più colossale bancarotta mai vista. Per capire questa traettoria, bisogna viaggiare tra le due città in cui si è sviluppata la straordinaria avventura di Tanzi: Parma e Roma. A Parma, luogo dove salumi, formaggi e arte diventano eccellenza e ricchezza, il giovane Calisto comincia a creare il suo miracolo. A Roma incontra la politica e il sistema politico-finanziario che lo perderà.

Aveva 22 anni nel 1961, quando fonda la sua impresa, sviluppando l’aziendina del nonno: a Collecchio, il paesetto alle porte di Parma allora ancora immerso nelle brume della nebbia padana. Commercializza il latte, sviluppa la distribuzione mettendolo nel tetrapack, inventa di fatto il latte a lunga conservazione. Si espande nel mondo, con 130 stabilimenti. Poi si allarga ad altri settori, il turismo (Parmatour), la tv (Odeon), lo sport (dal Parma Calcio alla Formula 1). Nel 1973 il suo giro d’affari era di 20 miliardi di lire, dieci anni dopo sale a 550 miliardi.

Se l’Italia del boom favorisce il suo decollo straordinario, gli anni Ottanta preparano il suo crollo rovinoso. A Roma regnano – e si combattono – Ciriaco De Mita (Dc) e Bettino Craxi (Psi). La politica diventa ménage a tre con banchieri di sistema e imprenditori di riferimento. Craxi ha, dalla sua, Silvio Berlusconi. De Mita conquista Tanzi. La sua Parmalat, cresciuta in fretta e a dismisura, già comincia a zoppicare, ma Calisto viene dissuaso a venderla ai francesi della Danone che gli offrono ben 700 miliardi di lire: Tanzi serve a far sistema per la politica “buona” contro i “cattivi” di Craxi e del Caf. È per questo che compra, svenandosi, Odeon Tv, che De Mita cerca (invano) di contrapporre a Canale 5. Si mette in moto un vortice di debiti che Tanzi affronta da giocatore di poker, alzando la posta, accrescendo il rischio con nuove acquisizioni e nuovi finanziamenti del debito.

I conti, quelli veri, sono brutti. Lui li aggiusta, assistito da una banda di contabili di provincia e sostenuto da una rete di relazioni nella politica, nell’informazione, nella finanza. I banchieri con lui sono generosi, anche perché i finanziamenti generano ricche commissioni. Nel 1990, Parmalat è in perdita da anni, ma non lo dice a nessuno e si salva quotandosi in Borsa: a pagare sono i risparmiatori ignari. Poi si finanzia con i bond, che moltiplicano il debito ma rendono benissimo alle banche che fanno a gara per emetterli: JpMorgan, Merrill Lynch, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Morgan Stanley, Citigroup… Le autorità di controllo, Consob, Bankitalia, non vedono.

Tanzi veleggia ormai in un mondo virtuale, dove i conti veri spariscono e crescono la finanza, le commissioni, le regalie, le tangenti. Paga, Calisto. Paga sponsorizzazioni e restauri che rendono bella Parma e gli conquistano la gratitudine dei concittadini. Paga le commissioni alle banche. Regala viaggi a tanti amici e anche a qualche magistrato. Paga, naturalmente, i politici. Dopo il crollo, il pm di Parma Vito Zincani li divide in tre gruppi: “A un primo gruppo appartengono coloro che hanno negato di aver ricevuto contributi (Stefani, Speroni, D’Alema, Dini, Fini, De Mita, Tabacci, Sanza, Scalfaro, Bersani, Lusetti, Gargani). A un secondo gruppo coloro che hanno ammesso di aver ricevuto finanziamenti nei limiti previsti dalla legge (Casini, Prodi, Buttiglione, Ubaldi, Castagnetti, Duce, Segni, Sanese). A un terzo gruppo coloro che hanno intrattenuto rapporti con Tanzi in epoche passate ben oltre il limite di prescrizione dei reati eventualmente commessi (Forlani, Colombo, Pomicino, Fabbri, Signorile, Mannino, Fracanzani). Nessuno, ovviamente, ha ammesso di aver ricevuto illeciti finanziamenti”.

Finisce per diventare un burattino nelle mani del sistema che lo tiene in piedi. Nel 1999 compra Eurolat dal gruppo Cirio di Sergio Cragnotti a un prezzo esagerato, oltre 700 miliardi di lire, per consentire a Cragnotti di rientrare dei debiti con la Banca di Roma di Cesare Geronzi. Il gioco si ripete nel 2002, quando Tanzi, sempre spinto da Geronzi, compra le acque minerali Ciappazzi da Giuseppe Ciarrapico, anche lui indebitato con Banca di Roma.

Così la sua Parmalat diventa “la più grande fabbrica di debiti della storia del capitalismo europeo”: lo scrivono i magistrati dopo che il re appare nudo. Nel dicembre 2003 Tanzi salta, dopo l’ultimo bluff: non può rimborsare il bond di 150 milioni di euro in scadenza; e i 4 miliardi di liquidità parcheggiate, secondo i bilanci Parmalat, nella Bonlat delle Cayman sono un miraggio, una falsità, la Bonlat è una scatola desolatamente vuota.

È un crac da 14 miliardi di euro. Coinvolge 80 mila investitori e piccoli risparmiatori (per le associazioni dei consumatori quasi il doppio). Calisto e il fido ragionier Fausto Tonna avevano per anni tenuto in piedi un castello di carte false e di documenti fatti in casa con i trasferelli.

Tanzi accumula condanne per 39 anni. Per un decennio è costretto ad assumere il ruolo del colletto bianco severamente punito dietro le sbarre, lavando così la cattiva coscienza del sistema – politici, banchieri, autorità di controllo, giornalisti, agenzie di rating – che lo aveva per decenni sostenuto, esaltato, celebrato, difeso, usato, spremuto.

Il Fatto quotidiano, 2 gennaio 2022
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