POLITICA

Cingolani, l’equivoco “verde” del governo Draghi

Cingolani, l’equivoco “verde” del governo Draghi ROBERTO CINGOLANI FISICO

Il più grande equivoco del governo Draghi si chiama Roberto Cingolani. Ognuno può dare il giudizio che vuole sull’operato dei Migliori, ma nessuno potrà negare che i fatti del ministro della Transizione ecologica sono quantomeno sfasati, incongruenti, contraddittori rispetto alle promesse con cui Cingolani è stato catapultato al governo.

Doveva essere il protagonista della svolta, la novità radicale, il mutamento epocale, la rivoluzione verde. È stato la giustificazione del sostegno dei Cinquestelle a Draghi. Si sta dimostrando invece il più grosso errore di Beppe Grillo (dopo il video sul figlio). E lo possiamo ormai sostenere anche andando oltre il suo curriculum, che non lo qualifica certo come uomo del rinnovamento.

Ha gestito per anni un centro di ricerca a Genova (Iit) finanziato non per i suoi meriti, con modalità competitive, ma per concessione dall’alto del governo. Ha avuto così tanti soldi da non riuscire a spenderli, nell’Italia in cui la ricerca ha finanziamenti scarsi e insicuri. Il risultato più esibito è stato un robottino dalla faccia carina che non abbiamo ancora capito bene a che cosa serva.

Cingolani ha poi garantito a Matteo Renzi il suo “progetto petaloso”: la partenza a Milano, per coprire il vuoto progettuale del dopo-Expo, di Human Technopole, per fortuna subito strappato a “Cingo” per l’immediata insurrezione del mondo dell’università e della ricerca. Come risarcimento è stato mandato a fare il manager a Leonardo, dove ha piazzato anche il suo uomo-comunicazione. E infine, eccolo qua, a incarnare la promessa green del governo Draghi. Ma i fatti, purtroppo, smentiscono le promesse. Più che ministro della Transizione ecologica, sembra il ministro del greenwashing. Qualche esempio.

Nel Piano nazionale energia e clima è prevista una corsia preferenziale per i “nuovi impianti per la produzione di energia e vettori energetici da fonti rinnovabili, residui e rifiuti”. Le ultime due paroline (“residui e rifiuti”) significano inceneritori, i cari, vecchi, inceneritori. Resta pesante la presenza del gas, tanto che perfino John Kerry, inviato speciale per il clima del presidente Usa Joe Biden, ha osservato: “Il ministro Cingolani mi ha mostrato le mappe dei gasdotti, esistenti e in discussione. Ma attenzione: il gas naturale è comunque un combustibile fossile, composto all’87 per cento circa di metano, quando lo bruci crei Co2 e quando lo sposti possono esserci perdite molto pericolose”.

Per non spremersi le meningi a inventare progetti verdi, “Cingo” e il governo hanno preso i progetti già pronti delle aziende: Eni, Snam, Enel, che per la natura del loro business non hanno proprio una spontanea vocazione verde. Così finanzieranno con i soldi del Pnrr (quelli dell’Europa per fare cose nuove e green) il vecchio progetto “waste to fuel” (dai rifiuti al carburante) già avviato dall’Eni a Gela e a Marghera. E quello, sempre dell’Eni, a Ravenna, per riconvertire “impianti finalizzati a ridurre le emissioni da parte del settore industriale, ivi compresa la cattura, il trasporto, l’utilizzo e/o stoccaggio della Co2”. Avanti tutta, così, con le trivelle in Adriatico, che invece di essere dismesse continueranno a operare. A Enel sarà concesso di operare nei suoi impianti con meno controlli.

A Snam via libera per i suoi gasdotti, quelli che lasciano perplesso finanche l’inviato di Biden. In generale, pochi soldi alla ricerca pubblica (solo 11 miliardi dei 60 a disposizione del ministero da qui al 2027). E meno controlli per tutti, via libera a interventi rapidi e finanziati con una cascata di soldi pubblici, nella terra della corruzione e delle mafie. Le organizzazioni criminali si stanno già preparando. L’esperienza ci insegna che ne vedremo delle belle. Poi, al primo scandalo — ci scommetto — la politica comincerà a strillare che la magistratura deborda e frena lo sviluppo.

 

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Il Fatto quotidiano, 27 maggio 2021
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