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La Nigeria chiede 1,7 milioni di dollari a JpMorgan

La Nigeria chiede 1,7 milioni di dollari a JpMorgan Foto Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Roma Economia Trasmissione tv "In Mezz'Ora" Nella foto Claudio Descalzi (ad Eni) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Rome (Italy) Tv program "In Mezz'Ora" In the photo Claudio Descalzi (ceo Eni)

Lo Stato della Nigeria contro JpMorgan. Effetto collaterale della controversia che oppone da anni il Paese africano a Eni e Shell, le due compagnie petrolifere sotto processo a Milano per corruzione internazionale, con l’accusa di aver pagato nel 2011 una tangente da 1,3 miliardi di dollari per ottenere la licenza d’esplorazione dell’immenso campo petrolifero Opl 245, al largo delle coste nigeriane.

Ora l’Alta corte di giustizia di Londra ha stabilito che lo Stato nigeriano può chiamare in giudizio nel Regno Unito la banca americana, da cui pretende 1,7 miliardi di dollari. Il processo inizierà a Londra nel novembre 2021.

La Repubblica federale della Nigeria lo chiedeva dal 2017, sostenendo davanti ai tribunali inglesi di essere stata danneggiata da JpMorgan. Nel 2011, infatti, Eni versò, anche per conto di Shell, 1 miliardo e 92 milioni di dollari su un conto JpMorgan a Londra aperto dal governo nigeriano allora in carica. Non un dollaro arrivò però nelle casse dello Stato, perché la banca subito dopo permise che quei soldi fossero girati ad altri conti privati, tra cui quello della società Malabu, riferibile all’ex ministro nigeriano del petrolio, Dan Etete.

Per questi fatti, la Procura di Milano sta processando Eni, Shell e i suoi manager di vertice (tra cui l’amministratore delegato Claudio Descalzi) per corruzione internazionale. Ora la Nigeria accusa di negligenza JpMorgan e chiede di sapere i nomi di chi nella banca prese la decisione di trasferire i fondi. Pretende il rimborso degli 875 milioni di dollari che furono girati in tre rate a Etete, più gli interessi, che fanno lievitare la somma a 1,7 miliardi.

Nel processo di Milano, arrivato alle arringhe finali, la Nigeria ha già chiesto a Eni e Shell il pagamento di 1,092 miliardi di dollari, finiti nelle tasche dei politici nigeriani invece che nelle casse dello Stato, e la confisca della stessa cifra, definita dall’accusa il “prezzo della corruzione”. Eni ha sempre ribadito la correttezza dei suoi comportamenti, sostenendo di non essere responsabile dei passaggi di denaro successivi al suo pagamento a Londra del 2011.

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La posizione di Eni

In relazione all’articolo titolato “Ora il governo di Abuja vuole 1,7 miliardi da JPMorgan”, Eni desidera precisare (per quanto di propria competenza) che il pagamento da parte del Governo della Nigeria a Malabu, ordinato a JPMorgan dal Ministero delle Finanze Nigeriano nel 2011 e nel 2013 (rapporto a cui Eni è in ogni caso estranea) venne espressamente autorizzato in sei diverse occasioni, su richiesta di JPMorgan stessa, dalla competente autorità antiriciclaggio ed anti-corruzione inglese, SOCA .Questo documento è acquisito al procedimento tra il Governo federale della Nigeria e la JPMorgan.

La relativa documentazione è altresì stata richiesta da Eni ai tribunali inglesi e da questi consegnata alla Società: i tribunali inglesi hanno riconosciuto il diritto e l’interesse di Eni ad ottenerla ai fini delle proprie difese.

La circostanza è quindi nota e di pubblico dominio dal 14 maggio 2019 (data del deposito in pubblica udienza presso il Tribunale di Milano, VII sezione – processo OPL 245 -) e stupisce quindi (ai fini di una piena e corretta informazione) che non ne sia dato atto nel Vostro articolo.

In relazione alla rilevanza “generale” delle decisioni delle Corti Inglesi, si ricorda che fin dal 2013 le stesse hanno escluso qualsivoglia ipotesi corruttiva nel procedimento tra la EVP e la Malabu che ha assegnato ad EVP una rilevante somma per le attività prestate a favore di Malabu stessa, riconoscendo Emeka Obicome l’agente di Malabu.

Il Fatto quotidiano, 20 novembre 2020
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