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Il giudice del Delaware: Eni ha diritto ai documenti sulla Nigeria

Il giudice del Delaware: Eni ha diritto ai documenti sulla Nigeria Foto Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Roma Economia Trasmissione tv "In Mezz'Ora" Nella foto Claudio Descalzi (ad Eni) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 17-01-2016 Rome (Italy) Tv program "In Mezz'Ora" In the photo Claudio Descalzi (ceo Eni)

Il Tribunale distrettuale del Delaware ha dato ragione all’Eni, che chiedeva alla società Drumcliffe di esibire i documenti sui suoi accordi con la Nigeria. La compagnia petrolifera italiana si è appellata a una procedura americana (la 1782) che obbliga un’azienda Usa a mettere a disposizione documenti che possano servire a un’altra azienda per difendersi in procedimenti all’estero.

Eni e i suoi manager sono imputati di corruzione internazionale a Milano con l’accusa di aver pagato una tangente da 1,092 miliardi di dollari per ottenere la licenza d’esplorazione del campo petrolifero Opl 245 in Nigeria. Lo Stato africano si è costituito parte civile e il legale che lo rappresenta, l’avvocato Lucio Lucia, ha chiesto 1,092 miliardi di dollari come risarcimento del danno.

La Repubblica federale della Nigeria ha fatto finanziare le sue cause legali contro Eni da una società del Delaware, la Drumcliffe Partners Llc, che ha messo a disposizione 2,750 milioni di dollari, in cambio di una percentuale sulle somme che saranno recuperate nelle cause.

Il mandato è stato concesso nel 2016 dall’Attorney general e ministro della Giustizia Abubakar Malami allo studio legale Johnson & Johnson di Lagos, che sarà compensato con il 5 per cento delle somme che riuscirà a recuperare. Nel 2018, Johnson & Johnson ha stipulato a sua volta un contratto con una società del Delaware collegata a Drumcliffe, Poplar Falls Llc, riconoscendole un compenso del 35 per cento sui fondi recuperati. Ipotizzando 1 miliardo di risarcimento in caso di condanna, il 5 per cento (dunque 50 milioni) andrà a Johnson & Johnson.

Agli americani andrà il 35 per cento, dice il contratto poi siglato da Poplar Falls con Johnson & Johnson. Sarebbe una cifra tra i 300 e i 400 milioni di dollari. Spropositata e indizio di rapporti opachi, secondo Eni, che ha chiesto ai giudici del Delaware di disvelare i contratti siglati con i nigeriani: “Il fatto che un fondo di investimento privato Usa possa avere finanziato una causa miliardaria contro Eni in cambio di un ritorno economico enorme e sproporzionato”, aveva dichiarato Eni, “genera interrogativi dalle implicazioni estremamente gravi e che meritano risposte chiare”.

Ora il giudice distrettuale Maryellen Noreika ha deciso: Drumcliffe dovrà esibire i documenti dell’accordo con i nigeriani. Comunque, benché il contratto non sia chiarissimo, è più probabile che Poplar Falls possa pretendere il 35 per cento non del totale, ma di quel 5 per cento riconosciuto a Johnson & Johnson. Il 35 per cento di 50 milioni sarebbe attorno ai 17 milioni, a cui si aggiungerebbe, per contratto, il 250 per cento del finanziamento di 2,750 milioni, ovvero quasi 5 milioni: in totale, circa 22 milioni di dollari. Una cifra molto alta, ma lontana dai 400 milioni ipotizzati.

Il compenso a Drumcliffe non è piaciuto neppure a Re:common, la ong che per prima ha denunciato quella che ritiene una gigantesca corruzione internazionale che ha tolto grandi risorse al popolo nigeriano. “Re:common ritiene legittime alcune delle preoccupazioni sugli accordi di finanziamento e che sia giusto criticare l’operato dell’Attorney general della Nigeria, che non ha chiarito tali accordi. Ma”, aggiunge, “la teoria Eni del complotto è fuori discussione, poiché in Delaware l’azienda non ha presentato alcuna prova di presunte forze oscure al lavoro dietro le quinte”.

Il Fatto quotidiano, 17 ottobre 2020
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