PERSONE

Dj Fabo. La pm: “Io sono lo Stato, assolvete Cappato”

Dj Fabo. La pm: “Io sono lo Stato, assolvete Cappato”

“In altri ordinamenti, il pubblico ministero è l’avvocato dell’accusa. Non da noi: io mi rifiuto di essere l’avvocato dell’accusa. Io rappresento lo Stato. E lo Stato è anche l’imputato Marco Cappato”. Così la pm Tiziana Siciliano ne ha chiesto l’assoluzione, con la formula “perchè il fatto non sussiste”. In subordine, ha chiesto ai giudici di mandare gli atti del processo alla Corte costituzionale per valutare la legittimità dell’articolo 580 del codice penale che prevede il reato di aiuto al suicidio.

Cappato, radicale, rappresentante dell’associazione Luca Coscioni, è imputato a Milano per aver accompagnato Fabiano Antoniani, Dj Fabo, tetraplegico e cieco, a morire in una clinica svizzera. “Se Fabiano avesse avuto anche solo trenta secondi per potersi muovere liberamente”, ha detto la pm, “avrebbe messo fine alle sue sofferenze da solo, rimpossessandosi così del suo diritto alla dignità”.

Siciliano cita il quadro legislativo e giuridico attuale, italiano e sovranazionale, e ribadisce la necessità di superare i limiti costituzionali all’autodeterminazione della persona. Questi limiti, spiega il procuratore aggiunto, sono frutto di un pensiero che si è nel tempo modificato grazie ai progressi della scienza: vanno dunque superati. “La considerazione finale di questa Procura”, scandisce la pm, “è che non esistono diritti assoluti, che prevalgono sugli altri. Nella nostra Costituzione sono tutti bilanciati. Il diritto alla dignità della vita e della morte è pari, secondo noi, a tutti gli altri”. Irrituale applauso dell’aula, in questo processo in cui si è parlato di articoli di legge e di reati, ma anche di dignità e libertà, dolore e desiderio.

La pm Sara Arduini ricostruisce gli ultimi giorni e le ultime ore della vita di Fabiano che, costretto a letto dopo l’incidente, descriveva “la sua vita come un inferno insopportabile e alla fidanzata Valeria, che si sentiva sconfitta dalla sua scelta di morire, rispondeva che per lui quella sarebbe stata invece una vittoria”. Dunque Cappato non “ebbe alcuna influenza sul proposito di Fabiano. Fino alla fine chiese se ci voleva ripensare”, ma Fabiano rispondeva: “Se non riesco a farlo, chiamo un sicario per uccidermi”.

Commozione, in aula. Cappato, nel suo appello finale, rivendica invece davanti ai giudici il ruolo da lui avuto nella vicenda di Dj Fabo: “Se dovesse arrivare una assoluzione che definisce irrilevanti le mie azioni, mentre sono state determinanti, vi dico che preferirei una condanna. Perché quella motivazione paradossalmente aprirebbe la strada a qualcosa che nessuno può volere: si accetterebbe che solo chi è in grado di raggiungere la Svizzera può essere libero di scegliere”.

La pm Siciliano in conclusione cita l’Utopia di Tommaso Moro. Era il 1516 e l’autore definiva il suicidio come il diritto degli infermi a mettere fine alla estrema sofferenza. “Moro fu giustiziato per le sue idee, ma cinquecento anni dopo la Chiesa lo ha canonizzato. Non vorrei che oggi condannassimo Cappato per poi vederlo santificato tra cinque secoli”.

Il Fatto quotidiano, 18 gennaio 2018
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