SEGRETI

Eni e Shell a processo per la tangentona nigeriana

Eni e Shell a processo per la tangentona nigeriana

Una super-tangente da 1,3 miliardi di dollari versata da Eni e Shell a politici nigeriani per ottenere nel 2011 i diritti di sfruttamento del grande giacimento petrolifero Opl 245: di questo tratterà il processo per corruzione internazionale che inizierà a Milano il 5 marzo 2018. Gli imputati saranno l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e il suo predecessore, Paolo Scaroni, con altre undici persone. Lo ha deciso il giudice dell’udienza preliminare di Milano Giusy Barbara che ha rinviato a giudizio, oltre a Descalzi e Scaroni, tre ex manager Eni, Roberto Casula (all’epoca dei fatti capo divisione esplorazioni), Vincenzo Armanna (ex vicepresidente del gruppo in Nigeria) e Ciro Antonio Pagano (ex managing director di Nae, società del gruppo Eni), insieme ad alcuni presunti intermediari, gli italiani Luigi Bisignani e Gianfranco Falcioni e il russo Ednan Agaev, nonché l’ex ministro del petrolio della Nigeria, Dan Etete.

Rinviati a giudizio anche i vertici della Shell, che secondo l’accusa divise l’affare con l’Eni: Malcolm Brinded, allora presidente di Shell Foundation, e tre ex dirigenti della società petrolifera olandese, Peter Robinson, Guy Colgate e John Coplestone. Altri due imputati, l’intermediario nigeriano Emeka Obi e quello italiano Gianluca Di Nardo, hanno scelto di farsi giudicare con rito abbreviato. Rinviate a giudizio anche le società Eni e Shell, coinvolte in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Per anni i pm della Procura di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno seguito le piste di questa grande storia internazionale di soldi, affari e petrolio che si snoda, come un film di 007, tra Milano, Abuja, Londra, l’Olanda, la Svizzera e qualche paradiso fiscale, raccogliendo migliaia di pagine di documenti, interrogatori e intercettazioni.

I fatti certi: nel 2011 Eni pagò al governo nigeriano, per ottenere Opl 245, la bella cifra di 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Ma neppure un cent restò nelle casse pubbliche del Paese africano, perché i soldi furono girati, dirottati e dispersi in una girandola di conti in giro per il mondo. Finirono a governanti della Nigeria e a mediatori italiani e internazionali, con qualche stecca tornata nelle tasche dei manager Eni: 917 mila dollari sarebbero arrivati ad Armanna; 50 milioni di dollari in contanti a Casula, responsabile delle attività operative in Nigeria; 21 milioni di franchi svizzeri al mediatore Gianluca Di Nardo.

Ora sarà la decima sezione penale del Tribunale di Milano a valutare le prove raccolte da De Pasquale e Spadaro e a decidere le eventuali responsabilità penali. Eni intanto esprime “piena fiducia nella giustizia e nel fatto che il procedimento giudiziario accerterà e confermerà la correttezza e integrità del proprio operato”. Il consiglio d’amministrazione del gruppo, si legge in una nota dell’azienda, “anche sulla base di una valutazione degli esiti delle verifiche svolte da consulenti indipendenti incaricati di esaminare tutti gli atti e la documentazione depositata a chiusura delle indagini della Procura di Milano nel 2016”, si è convinta dell’estraneità di Eni ai fatti contestati. E ribadisce la massima fiducia a Descalzi, “sulla sua totale estraneità alle ipotesi di reato contestate e, in generale, sul ruolo di capo azienda”.

Anche Shell risponde ai magistrati: “Siamo delusi dall’esito dell’udienza preliminare e dalla decisione di rinviare a giudizio Shell e i suoi ex dipendenti. Confidiamo che nel dibattimento i giudici giungeranno alla conclusione che non sussiste alcuna ragione di ritenere Shell o i suoi ex dipendenti responsabili di condotte illecite. Shell attribuisce la massima importanza all’integrità aziendale. È uno dei nostri valori fondamentali e costituisce un elemento basilare dei Principi aziendali che governano il nostro modo di fare impresa. Shell dispone di regole chiare in materia di anti-corruzione che sono parte integrante nel nostro Codice di condotta applicabile a tutto il personale. Nella nostra azienda non c’è posto per la corruzione”.

 

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Fatto quotidiano, 21 dicembre 2017
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