SEGRETI

I pm e le piste (abbandonate?) nelle indagini su Expo

I pm e le piste (abbandonate?) nelle indagini su Expo

Ora che il Grande Evento, l’Azione Parallela, l’Expo dei Miracoli è finita, si avvicina la resa dei conti. Dovranno essere redatti i bilanci, stabiliti gli extra-costi, realizzate le bonifiche. Dovranno anche essere concluse le indagini ancora aperte. Tra queste, quella sulla “piastra”, l’appalto più grosso: messo a gara per 272 milioni e vinto nell’agosto 2012 dalla cordata capeggiata dalla Mantovani, con un’offerta di 165,1 milioni (e poi richieste di altri 110 milioni nel maggio 2014).

Non sappiamo che cosa c’è di nuovo – se c’è – nei faldoni dei magistrati e dei file della polizia giudiziaria, ma possiamo cercare di seguire le piste aperte, di riallacciare i fili slabbrati, di ripercorrere i sentieri interrotti. Sappiamo, per esempio, che la Mantovani ha vinto a sorpresa la gara, con un ribasso da brivido del 41 per cento, spiazzando l’allora presidente della Regione, Roberto Formigoni, e il gran capo di Infrastrutture Lombarde (Ilspa), Antonio Rognoni (poi arrestato, per altre vicende, nel marzo 2014). Alla vigilia dell’apertura delle buste, per la “piastra” sembrava favorita Impregilo, ma evidentemente Mantovani viene aiutata da “spifferi” sulla gara filtrati dall’interno di Expo spa, in cui aveva un ruolo determinante Angelo Paris, il braccio destro del commissario Giuseppe Sala. Rognoni e gli altri del suo fronte sono costretti a ingoiare il rospo, ma ecco allora che i vertici di Expo s’incaricano di “punire” la Mantovani imponendo condizioni più dure all’appalto. Mantovani accetta tutto, tanto sa che poi si rifarà con gli extracosti.

L’allora presidente di Mantovani Costruzioni, Piergiorgio Baita, racconta ai magistrati veneziani che indagavano sul Mose: “Lo so che la nostra vincita all’Expo ha scosso tutto l’ambiente milanese, perché noi abbiamo vinto ma non dovevamo vincere noi… Ci hanno detto che se volevamo il lavoro dovevamo raddoppiare la fidejussione”. Scatta quella che i pm di Venezia – che hanno poi mandato le carte a Milano – chiamano la “mediazione strana”: Baita paga 3,1 milioni di euro a un broker di Caserta, incaricato di trovare una compagnia assicurativa in grado di emettere una fidejussione a copertura di 52 milioni di euro necessari per l’appalto della Piastra. Il broker si chiama Agostino Raffaele Luongo, titolare della Data Management Ltd di Londra, il quale propone la Hill Insurance, con sede a Gibilterra.

Ma la Hill appartiene allo stesso Luongo, che incassa una mediazione (in seguito ridotta a 1 milione e mezzo di euro) per dare un incarico a se stesso. Poi, nell’agosto 2012, interviene l’Isvap (l’Autorità di vigilanza sulle assicurazioni) che vieta alla Hill di operare. Luongo con i suoi soci viene denunciato per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e Baita deve rifare tutto: “Abbiamo dovuto ridare una fidejussione con la Reale Mutua, ma ci abbiamo rimesso 1 milione e mezzo”. Restano aperte alcune domande: perché affidare quell’incarico a Luongo e alla sconosciuta Hill? Dovevano essere il tramite per far arrivare soldi a qualcun altro?

Ancor più strana la vicenda delle quote Socostramo. Mantovani aveva molti cantieri in consorzi di cui faceva parte anche la Socostramo, società quasi inesistente dal punto di vista operativo, ma controllata da Erasmo Cinque, potente costruttore romano molto vicino ad Alleanza Nazionale e ad Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture dell’ultimo governo Berlusconi. Il rapporto Cinque-Matteoli era così stretto che – racconta Rognoni ai magistrati – quando doveva parlare di lavori pubblici con il ministro Matteoli, trattava con Erasmo Cinque: “Lui era il segretario, era il sottosegretario di Matteoli”. Ebbene, tra il 2011 e il 2015, la Mantovani acquista le partecipazioni di Socostramo srl in almeno sei consorzi (Alfa, Talea, Talea2, La Quado, Fagos, ConExpo 2015) pagando a Cinque circa 20,5 milioni di euro. È il valore nominale delle partecipazioni. Non il valore reale, evidentemente, perché la Mantovani le iscrive a bilancio, ma poi in alcuni casi le svaluta. Intanto però un tesoretto milionario è uscito dalla Mantovani ed è entrato nelle casse di Socostramo. Anche qui, restano domande aperte: perché acquistare quelle partecipazioni? A chi è andato quel tesoretto?

Sono solo domande, piste investigative. Chissà se sono state seguite o se invece si sono inaridite, dopo il conflitto alla Procura di Milano tra il procuratore Edmondo Bruti Liberati e il suo aggiunto Alfredo Robledo e la conseguente scelta di Rognoni di chiudersi nel silenzio. Prima di bloccarsi, aveva raccontato che era andato da lui “Ottaviano Cinque, il figlio del proprietario della Socostramo, Erasmo Cinque”: “Mi dà questo bigliettino nel quale mi dice: ‘A noi risulta di essere andati molto bene sulla parte tecnica’. E io cado dalla sedia. La cosa che mi preoccupò fu che, siccome era effettivamente così, significa che c’è qualcuno della Commissione di Expo (che non sono io, mai occupatomi della gara) che si permette di fare una cosa illegittima”, cioè di dare notizie segrete sulla gara d’appalto.

Il Fatto quotidiano, 18 novembre 2015
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