Domanda a Milano: Sala mangerà il panettone?
“Sala non mangerà il panettone”, dice scuotendo il capo Luigi Corbani, nella Prima Repubblica vicesindaco della giunta socialista-migliorista, oggi animatore del comitato Sì Meazza contro l’abbattimento del glorioso stadio di San Siro. A Milano si dice così. Il panettone resta un punto di riferimento, in politica come in amore. Ma poiché a Natale mancano quattro mesi, affinché si realizzi la profezia di Corbani, le vicende giudiziarie e politiche sull’urbanistica dovrebbero precipitare molto rapidamente.
Possibile, nel caso la Procura dovesse trovare ulteriori elementi che dimostrino il suo diretto coinvolgimento nelle illegalità del Sistema Milano. Le sue responsabilità politiche sono comunque già tutte ben visibili: Giuseppe Sala è il garante del Sistema, ha portato alla bulimia il modello di sviluppo avviato dai suoi predecessori Gabriele Albertini e Letizia Moratti, ha dato un’accelerazione al Rito ambrosiano con la determina del 2018 che permette di usare la ormai famosa Scia (un’autocertificazione del costruttore) invece del permesso di costruire.
E soprattutto ha instaurato un sistema di rapporti con un operatore privato, Manfredi Catella, in cui i contatti istituzionali si sono intrecciati in modo indistinguibile con pranzi di lavoro, cene di famiglia e gin tonic in amicizia. Roba da dimissioni immediate, ai tempi di Aldo Aniasi e perfino di Carlo Tognoli. Ma purtroppo l’asticella della tolleranza nell’opinione pubblica e soprattutto nei partiti si è così alzata da tollerare quasi tutto.
Resta ancora da aprire un capitolo: quello dell’affare San Siro. Formalmente la costruzione di un nuovo stadio e l’abbattimento del Meazza; di fatto una grande operazione immobiliare in cui lo stadio è solo l’esca per edificare nell’area nuovi grattacieli e il più grande centro commerciale urbano d’Italia. Potrebbe essere il colpo finale per un sindaco che per cinque anni ha gestito la trattativa come fosse un affare privato.
Se per ora le chat tra Sala e gli uomini da lui scelti per amministrare Milano – il direttore generale del Comune Christian Malangone, l’(ex) assessore Giancarlo Tancredi – e il re degli sviluppatori Manfredi Catella mettono in mostra un’intollerabile commistione tra amministrazione pubblica e interessi privati, con il privato che detta la linea alla pubblica amministrazione, chissà cosa ci mostrerebbero le chat tra Sala, Malangone, Tancredi e Paolo Scaroni, l’eterno presidente del Milan, il vero regista dell’operazione San Siro.
E allora: Sala mangerà il panettone? Lo sapremo solo nelle prossime settimane. Oppure dovremo aspettare il 22 febbraio 2026, quando termineranno le Olimpiadi Milano-Cortina e Sala potrebbe abbandonare Palazzo Marino.
Intanto il Pd, a Milano e soprattutto a Roma, si sta comunque arrovellando per trovare una candidatura. Tramontata quella di Emmanuel Conte, il delfino bocconian-salernitano di Sala. Anna Scavuzzo? Va bene giusto per l’interim dell’urbanistica. Gli eterni Pierfranceschi? Maran ha da spiegare la continuità con Sala (pur litigiosa: quanto potrebbe raccontare, se solo volesse, del Pirellino e dei rapporti con Catella!); Majorino, difensore della Salva-Milano e del Sistema Sala (erano ingenui, poverini!) si è messo fuori gioco da solo: troppo continuista per la sinistra, troppo di sinistra (percepita) per il Pd.
Resta l’opzione-salvataggio-d’emergenza: il papa nero. L’ottimo Ferruccio De Bortoli, il giovane Mario Calabresi. Che dovranno stare attenti a chi il Pd e il Sistema Sala metterà loro attorno, per cercare di garantire la continuità degli affari già avviati. Quasi nessuno prende più in considerazione l’opzione che dovrebbe essere più naturale a sinistra: le elezioni primarie di coalizione, che potrebbero strappare a partiti e partitini le inesorabili imposizioni, spartizioni, lottizzazioni, veti, e restituire ai cittadini milanesi la scelta di come far uscire Milano dalla crisi più grave dai tempi di Tangentopoli.
