MILANO

C’è un giudice a Milano. Primo no al Rito Ambrosiano

C’è un giudice a Milano. Primo no al Rito Ambrosiano

Nel magico mondo di Salaland, i grattacieli nuovi sono considerati “ristrutturazione”. Il Comune ha rinunciato a 4,5 milioni nel solo caso Park Towers. Quanti milioni di euro ha perso, in questi anni, Milano?

Dopo settimane di piagnistei sui giornali, a proposito dei poveri impiegati del Comune di Milano vessati dalla Procura e dei poverissimi palazzinari oggetto di “caccia alla streghe”, perché a Milano tiran su grattacieli con una semplice autocertificazione (la miracolosa Scia), arriva un giudice – la gip Daniela Cardamone – a firmare la prima bocciatura del nuovo Rito Ambrosiano (ovvero: “costruite quel che vi pare”).

La vicenda è quella delle Torri di via Crescenzago, due edifici di 23 e 16 piani alti 81 e 59 metri, più uno stabile di 10 metri, 113 appartamenti, 50 box e 50 posti auto. Li ha costruiti la Bluestone di Andrea Bezziccheri dopo la completa demolizione di due fabbricati di soli uno e due piani. Eppure nel magico mondo di Salaland le “Park Towers” non sono considerate “nuove costruzioni”, bensì “ristrutturazione”.

Bastava il buonsenso per capire che si tratta di lottizzazione abusiva, abuso edilizio e abuso d’ufficio. Ma a Milano, in nome della velocità, della semplificazione, dell’attrattività, vige non la legge, ma la “consuetudine”, la “deroga”: è quello che chiamiamo nuovo Rito Ambrosiano, in ricordo del metodo dell’assessore Hazon negli anni Sessanta. Ma c’è un giudice a Milano: la gip ha detto chiaro che i pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, non si stanno dedicando alla “caccia alle streghe”, ma a far rispettare la legge e i diritti di tutti i cittadini.

Perché il Comune di Milano ha agito con “profili di eclatante illegalità”: permette di tirar su palazzi e grattacieli “senza un piano attuativo”, “mediante il ricorso illegittimo a una Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), sostituiva di un permesso di costruire”. Così facendo viola le leggi urbanistiche e lede i diritti dei cittadini che vivono nella zona dove sorgono le nuove costruzioni: perché il Comune non compie “alcuna valutazione dell’aggravio di carico urbanistico”, non calcola cioè nuovi standard e servizi, verde, strade, trasporti, asili, fognature.

Lascia fare a chi costruisce, con una “impropria monetizzazione degli standard” calcolata “in modo arbitrario”, secondo parametri quattro volte inferiori ai valori di mercato: in questo caso, 1,5 milioni invece di 6. Quanti milioni di euro ha perso, in questi anni, Milano?

Il magico mondo di Salaland “ha vanificato la potestà pubblica di programmazione territoriale a vantaggio di interessi privatistici”. Altro che “paura della firma”: è il Far West urbanistico. Che non può essere sanato dallo strano pellegrinaggio in Procura dell’assessore alla degenerazione urbana Giancarlo Tancredi; né dalla curiosa minaccia di dimissioni di 140 dipendenti comunali.

La gip non sequestra le torri, benché dichiarate abusive, solo in considerazione del principio di proporzionalità, perché ormai sono quasi terminate e il sequestro finirebbe per danneggiare i compratori degli appartamenti che non hanno compiuto alcun reato. Ma mette in mora il Comune: deve dotarsi “di un piano attuativo” fondato sulla costruzione effettivamente realizzata. E soprattutto – aggiungiamo – deve smettere di usare il nuovo Rito Ambrosiano per le centinaia di altri cantieri aperti a Salaland.

Invasione della giustizia penale nel campo dell’autorità amministrativa, come ripetuto in queste settimane dai Soloni amici dei costruttori e dagli Ordini professionali? No, risponde la giudice. La legge si deve applicare anche a Milano. La giurisprudenza di Corte costituzionale, Consiglio di Stato, Corte di cassazione è “concorde e univoca, come poche volte accade, nel ritenere la pianificazione urbanistica un obbligo imprescindibile della pubblica amministrazione e un diritto della popolazione”.

Senza volerlo, è una bocciatura bruciante del “Modello Milano”, che in questi anni non rispettando le leggi e non chiedendo i soldi dovuti ha premiato pochi palazzinari e impoverito i milanesi.

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Il Fatto quotidiano, 2 febbraio 2024
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