POLITICA

Marco Revelli: “Meloni non è migliore del circo che ha portato al governo”

Marco Revelli: “Meloni non è migliore del circo che ha portato al governo”

Intervista a Marco Revelli di Tommaso Rodano /

Per Giorgia Meloni la questione morale non esiste. Sostiene che nessuno si scandalizzi quando inchieste e imbarazzi colpiscono la sinistra. È vero?
È una delle tante bugie che ha seminato nella conferenza stampa dell’altro giorno. Non è affatto vero che la questione morale non sia stata affrontata e denunciata quando ha riguardato figure di sinistra. Ma ci sono due domande, due considerazioni preliminari che vorrei anteporre alle altre. La prima: sono accettabili una classe di governo e una presidente del Consiglio con queste caratteristiche, con questo livello, con questo stile? L’altra riguarda i presunti custodi delle virtù pubbliche: è ammissibile una categoria di giornalisti così reticenti e pavidi di fronte a un potere che usa una comunicazione tanto aggressiva e manipolatoria?

Obiezioni accolte.
Meloni ha portato al governo un circo Barnum di cui lei stessa teme i comportamenti, perché è caratterizzato dai vizi atavici di questa destra a lungo confinata in una nicchia, che di colpo si è trovata sbalzata al governo. Non c’è una differenza qualitativa tra lei e il cerchio che la attornia: sono fatti della stessa materia, vengono dalla stessa storia. Quando parla, Meloni ha la dialettica di un segretario di sezione di Colle Oppio, non di un presidente del Consiglio.

Pare invece si sia preparata a lungo per la conferenza stampa di fine anno.
Non ne dubito, leggo che ha fatto un dressage per impedire che la natura aggressiva e l’insofferenza alle critiche emergessero anche questa volta. Nonostante questo, era eloquente il suo linguaggio del corpo, la sua fisiognomica e le espressioni. Su Meloni si sente spesso dire che lei è brava, ma penalizzata da un personale umano e politico di basso livello. È tipico dell’atteggia mento servile scaricare la responsabilità dei capi sui gregari: si diceva che Mussolini fosse un grande statista e che non fosse responsabile delle malefatte dei suoi gerarchi.

In effetti, l’unico gettato in pasto alla stampa da Meloni è stato il gregario Pozzolo.
Uno che va armato a una festa di Capodanno – che finisce con un commensale ferito da un proiettile della sua pistola – è indifendibile per definizione. Ma questo Pozzolo non è una pecora nera, anzi rappresenta un sentire piuttosto diffuso in quella combriccola: c’è anche chi ha proposto di insegnare a sparare nelle scuole. Il fascino delle armi è un altro elemento tipico della destra radicale, di una cultura intrisa di prevaricazione e violenza. Ma tutto è passato in sordina. I giornalisti le hanno fatto domande cortesi, qualcuna considerata persino scomoda, per quanto inevitabile e necessaria. Nessuno ha incalzato Meloni quando si è rifugiata nel complottismo: è inaccettabile che un capo del governo affermi di temere complotti senza dire da parte di chi.

Ha ripetuto più volte “non sono ricattabile” e non ha aggiunto altro. A chi era indirizzato il messaggio, alla magistratura?
Il complottismo è una costruzione retorica che fa parte di quella cultura radicale, antistorica, che è stato il neofascismo italiano. Un misto di cattivismo e vittimismo: spietati nei confronti del nemico di turno – le figure più fragili, come i percettori di reddito di cittadinanza, i migranti, le minoranze etniche – ma vittime dei poteri occulti. Ma in passato i poteri occulti hanno sostenuto il radicalismo di destra: se complotti ci sono stati, erano legati alla strategia della tensione.

L’altra grande rimozione è sul familismo. Meloni ha risposto citando le coppie di parlamentari di sinistra.
In entrambi i casi – questione morale e familismo – ha dato una risposta da asilo infantile. Invece avrebbe dovuto rispondere nel merito, perché le è stato contestato un fatto indiscutibile, il ricorso a un cerchio magico ristretto ai rapporti parentali. Il familismo è legato a un’assoluta mancanza di fiducia in chiunque non abbia lo stesso sangue, lo stesso vincolo di fedeltà, tipico dichi non ha costruito una classe politica ma ha una micro comunità militante.

Malgrado questo FdI è largamente in testa ai sondaggi. Come lo spiega?
Per Gobetti il fascismo era l’autobiografia della nazione. L’Italia è un paese con scarsa cultura politica, fragile, esposto al rischio del culto del capo. Come dice il Censis: gli italiani sono un popolo di sonnambuli; nella notte che stiamo attraversando non vediamo le responsabilità di chi produce il nostro malessere. Poi c’è l’altro dramma: la catastrofica fragilità delle alternative. Dall’inizio del secolo l’attuale opposizione ha lavorato sempre alla propria rovina, allo svuotamento delle proprie ragioni. Il Pd ha avuto la dimensione onirica veltroniana – l’idea senza alcun fondamento di costruire un bipolarismo tra Pdl e Pd – e poi si è dato anima e corpo a una figura come Matteo Renzi. Questi vizi restano impressi nell’immaginario collettivo. Non bastano le parole per rimediare, occorrerebbero fatti che incidono nel sociale: il salario minimo è uno di quelli. Oppure il reddito di cittadinanza, che andava difeso con maggiore convinzione. (Il Fatto quotidiano, 7 gennaio 2024)

Le bugie di Giorgia, “la garantista”
che quand’era all’opposizione
voleva cacciare tutti 

di Tommaso Rodano/

Giorgia Meloni ha gravi problemi di memoria oppure ha mentito deliberatamente. In conferenza stampa ha dichiarato di non aver mai chiesto che ministri e politici avversari si dimettessero per questioni di opportunità a causa di un’indagine della magistratura. La bugia è ingenua: il web e gli archivi dei giornali grondano di dichiarazioni che dimostrano il contrario.

Le campagne di Meloni per le cacciate dei ministri erano quotidiane ai tempi del governo Renzi. Ad aprile 2016, quando scoppiò l’inchiesta sul petrolio di Tempa Rossa, la Meloni chiese subito le dimissioni della ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi (non indagata). “Un caso abbastanza inquietante”, lo definì la futura premier. Le successive dimissioni di Guidi furono “una scelta doverosa”, ma Meloni voleva lo scalpo di tutto l’esecutivo: “Ogni giorno emerge un nuovo conflitto di interessi di un ministro – dichiara va il primo aprile 2016 – ma è l’intero governo Renzi ad essere in perenne conflitto di interessi perché è il governo delle lobby, delle banche e dei poteri forti. Fratelli d’Italia non chiede le dimissioni del ministro Guidi male dimissioni di Renzi e dell’intero governo”.

Stessa formula su Luca Lotti e il caso Consip: “Io voterei la mozione di sfiducia, ma la farei a tutto il governo”. Sempre lo stesso spartito anche nei confronti di Maria Elena Boschi: “Avrebbe dovuto dimettersi molte volte – dichiarò Meloni il 9 maggio 2017 –. Doveva farlo già quando ci fu il decreto su Banca Etruria. Secondo me la mozione di sfiducia non andrebbe presentata individuale alla Boschi, ma a tutto il Governo Gentiloni”.

L’inflessibile Meloni – una vita e una Giorgia fa – riteneva inevitabili anche le dimissioni di Josefa Idem, ministra dello Sport nel governo Letta, finita nei guai per irregolarità edilizie e fiscali. Parole del 20 giugno 2013: “Dimettersi sarebbe un gesto importante e significativo, un forte segnale di rispetto verso le istituzioni”.

Pochi mesi dopo, novembre 2013, chiese la testa dell’ex ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri, in imbarazzo perle telefonate ai familiari del costruttore Salvatore Ligresti: “Comportamento totalmente inopportuno – dichiarò Meloni, annunciando il suo voto a favore della mozione di sfiducia – e credo che il ministro non abbia più la possibilità di avere un mandato pieno.

Infine Lucia Azzolina, accusata di aver copiato la tesi. Il 10 ottobre 2020 Giorgia scriveva su Facebook: “Fratelli d’Ita lia questa mattina al fianco dei ragazzi di Gioventù nazionale davanti il ministero dell’Istruzione per chiedere le dimissioni dell’incapace ministro Azzolina. La scuola merita di più”. (Il Fatto quotidiano, 5 gennaio 2024)

Tommaso Rodano, Il Fatto quotidiano, 5 e 7 gennaio 2024
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