POLITICA

Così Giorgia Meloni (sulla giustizia) si è berlusconizzata

Così Giorgia Meloni  (sulla giustizia)  si è berlusconizzata

Giorgia Meloni è, per quanto riguarda la Giustizia, il nuovo Silvio Berlusconi? Viene da una tradizione assai diversa: la destra “legge e ordine”, quella che sostenne Mani pulite e che nel 1994 chiese a Piercamillo Davigo di diventare ministro della Giustizia. Quella che ha in Paolo Borsellino il punto di riferimento nella lotta alla mafia. Poi però in questi anni ha più volte smentito le proclamazioni ideali, prima sostenendo le riforme contro la Giustizia di Berlusconi e le sue leggi ad personam, poi riempiendo il suo partito di indagati, imputati, condannati, furboni della politica e personaggi in conflitto d’interessi.

Oggi è al governo. Negli anni in cui è stata sola all’opposizione era relativamente facile dichiararsi paladina della legalità (salvo contraddirsi nei fatti, nei comportamenti dei suoi uomini che avevano ruoli amministrativi). Ora lo scenario è del tutto cambiato. Da palazzo Chigi sembra aver lanciato la sfida non tanto ai magistrati, ma alla legalità, sostenendo – pur con qualche distinguo – un ministro come Carlo Nordio che ogni volta che apre bocca annuncia riforme che tolgono strumenti d’indagine ai magistrati e aumentano l’impunità per i politici.

C’è una nuova Giorgia, a palazzo Chigi, diversa da quella che faceva opposizione ai governi e governissimi degli ultimi dieci anni. Una Meloni che sembra aver dichiarato guerra alla magistratura e che sulla Giustizia usa gli stessi argomenti usati un tempo da Berlusconi.

Ci sono tre casi che hanno accelerato la svolta. L’inchiesta che ha coinvolto la ministra di Fratelli d’Italia Daniela Santanché per i pasticci finanziari e la cattiva gestione delle sue aziende finite sull’orlo della bancarotta. L’indagine sul sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per aver rivelato notizie segrete sul caso Cospito al compagno di partito Giovanni Donzelli. Le accuse di stupro al figlio al presidente del Senato Ignazio La Russa.

La reazione dei fratelli e delle sorelle d’Italia è stata perfettamente berlusconiana: è in atto un “attacco della magistratura alla politica”, è ripresa la “guerra tra politica e magistratura”, è dunque necessaria una “riforma della Giustizia”. Basta esaminare in concreto i tre casi per mostrare l’irrazionalità di queste affermazioni.

Le aziende del gruppo Visibilia sono arrivate a un passo dal fallimento e i magistrati hanno dovuto aprire un’inchiesta. A Milano sono in corso decine di indagini giudiziarie su aziende in fallimento e su possibili reati finanziari: che cosa dovevano fare i pm milanesi, per non essere accusati di “attacchi politici” a un ministro del governo Meloni? Smettere d’indagare appena scoperto che Visibilia era controllata da Santanché? Ma così avrebbero commesso un reato e avrebbero infranto la regola costituzionale secondo cui la legge è uguale per tutti.

Su Delmastro, non avrebbero dovuto neppure aprire l’indagine, solo perché riguarda un sottosegretario del governo in carica? E su La Russa jr, avrebbero dovuto cacciare la ragazza che veniva a denunciare di essere stata stuprata, poiché l’accusato non è un immigrato ma è figlio del presidente del Senato?

È evidente che non c’è alcuna “guerra” tra politica e magistratura, ma solo attacchi della politica (l’aggressore) alla magistratura (l’aggredito) quando questa, seguendo i codici e la Costituzione, mette sotto indagine i politici. Non è guerra, è bullismo della politica.

La risposta di sistema di Meloni – che pure bacchetta La Russa per le sue dichiarazioni sul figlio e mostra poca voglia di difendere Santanché – ora è la stessa di Berlusconi: chiede “riforme” che rendano più difficili le indagini e impossibili le informazioni sulle indagini che riguardano indagati eccellenti. Possiamo dunque ripetere a Meloni la stessa richiesta che facevamo a Berlusconi: faccia un decreto di un solo articolo con l’elenco dei politici che è vietato processare.

Non c’è alcuna “guerra” tra politica e magistratura, ma solo attacchi della politica (l’aggressore) alla magistratura (l’aggredito) quando questa, obbligata dai codici e dalla Costituzione, mette sotto indagine i politici: non è guerra, è bullismo della politica

Il Fatto quotidiano, 14 luglio 2023
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