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Non solo San Siro. Tre stadi, una legge da abrogare

Non solo San Siro. Tre stadi, una legge da abrogare

La storia dello stadio Meazza, a San Siro, è la più nota: gli attuali proprietari di Milan e Inter lo vogliono abbattere, per poter fare cassa e risanare i loro bilanci, costruendo un nuovo stadio e (soprattutto) qualche grattacielo attorno che ripaga anche lo stadio. Non è l’unico caso in Italia. Qualcosa di simile sta succedendo a Parma, con lo storico stadio Tardini, costruito nel 1922, e a Roma, dove un nuovo impianto potrebbe essere costruito a Pietralata, periferia est della città, a ridosso della stazione dell’Alta velocità Tiburtina.

Tre storie diverse, con progetti differenti, ma una cosa in comune: l’utilizzo della legge sugli stadi. È una norma del 2013, aggiornata negli anni seguenti, che regala la possibilità di costruire edifici, centri commerciali e uffici a chi abbatte un vecchio stadio e ne costruisce uno nuovo. Con le nuove volumetrie regalate, i proprietari si pagano il nuovo impianto e in più ci fanno un bel guadagno.

Una legge dissennata, criminogena e forse anche anticostituzionale, dicono oggi personaggi del calibro del professore Salvatore Settis e degli urbanisti Paolo Berdini e Paolo Pileri, che il 30 maggio interverranno a un incontro (diretta su https://youtube.com/live/s9DsPDB80I0?feature=shar) organizzato dai tre comitati di cittadini che si oppongono alle operazioni sugli stadi progettate a Milano, Parma e Roma: Referendum x San Siro, Comitato Tardini Sostenibile, Comitato stadio Pietralata no grazie.

Il regalo che la legge stadi fa ai proprietari di impianti sportivi appare contrario all’articolo 3 della Costituzione, secondo cui siamo tutti uguali davanti alla legge: no, chi controlla uno stadio è più uguale degli altri, perché ha un trattamento di favore, può abbattere e ricostruire un impianto con i soldi che ricava dall’operazione immobiliare permessa dalla legge stadi, mentre non può fare altrettanto chi vuole abbattere casa sua per costruirne una più nuova e più grande, naturalmente, ma neppure chi voglia demolire e ricostruire altre opere che siano ritenute di pubblico interesse.

Appare contrario anche all’articolo 9 della Costituzione, secondo cui la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Permette invece l’abbattimento di impianti iconici come il Meazza e storici come il Tardini, incentiva il consumo di suolo in anni di cambiamenti climatici e ripetuti eventi metereologici estremi, mangia il verde e moltiplica il cemento. Le esigenze dei fondi esteri che spesso controllano i club hanno – chissà perché – un trattamento di favore, una serie di regali amministrativi, urbanistici e immobiliari.

Scandalosi a Milano: dove la proprietà del Meazza che vorrebbero abbattere è del Comune e i terreni su cui vorrebbero realizzare l’operazione sono pubblici, cioè dei cittadini milanesi. Perché fare un immenso regalo a fondi esteri (come quello che oggi controlla il Milan presieduto dall’eterno Paolo Scaroni) di cui non sappiamo bene neppure chi siano i proprietari e da dove provengano i soldi? E a Roma, perché edificare ulteriori edifici commerciali e d’intrattenimento in un’area anche questa pubblica, dove il piano di governo del territorio prevedeva un parco?

“Intendiamo sollevare una seria riflessione collettiva e nazionale sulle disastrose conseguenze dell’applicazione della legge sugli stadi”, dicono i tre comitati, “arrivando a metterla in discussione per fondati dubbi di legittimità costituzionale. È in atto una gravissima crisi sociale, ambientale, climatica ed economica, perché mai lo Stato dovrebbe incentivare la costruzione di nuovi stadi commerciali in giro per l’Italia, circondati di nuovi grattacieli e ulteriore cemento, facendo prevalere l’interesse privato su quello pubblico?”.

Il Fatto quotidiano, 26 maggio 2023
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