AFFARI

Milano San Siro, ovvero il reddito di cittadinanza regalato a Scaroni

Milano San Siro, ovvero il reddito di cittadinanza regalato a Scaroni

La Milano di Giuseppe Sala continua la sua “londrizzazione”, diventando sempre più una metropoli per ricchi che espelle i poveri e, ormai, anche il ceto medio. C’è una perfetta continuità tra amministrazioni di centrodestra (Gabriele Albertini e Letizia Moratti) e di centrosinistra (Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala), almeno per quanto riguarda la gestione urbanistica e le grandi operazioni oggi chiamate di “rigenerazione urbana”, che più appropriatamente dovrebbero essere chiamate di “degenerazione urbana”.

Non è un giudizio ideologico, è una constatazione dei fatti e delle operazioni realizzate senza soluzione di continuità da Albertini fino a Sala. Grandi speculazioni immobiliari che attirano capitali anche stranieri e fanno lievitare i costi, immobiliari e della vita, in attesa dello scoppio della bolla e della crisi che prima o poi arriverà (forse dopo le Olimpiadi del 2026). In una anomalia che Sala non ha voluto e non vuole risolvere: Milano ha gli oneri di urbanizzazione più bassi d’Europa, così il valore che si produce per gli operatori immobiliari non si traduce, se non in piccolissima parte, in valore pubblico per i cittadini.

Anzi, il Comune che possiede una miniera d’oro – un territorio di altissimo valore – lascia tutte le pepite nelle mani dei privati, senza chiedere loro quello che città come Berlino o Parigi pretendono dagli operatori: non si chiede il comunismo, ma il mercato capitalistico regolato, come nelle altre città d’Europa. Qui no, a Milano i privati trovano il paradiso.

In nome della “attrattività”: il programma del sindaco Sala non è realizzare il bene dei cittadini milanesi, ma attirare capitali privati. E intanto moltiplicare il consumo di suolo, l’inquinamento dell’aria, la lievitazione dei costi, la trasformazione di Milano in una città non fatta per i suoi abitanti, ma per i city users e gli investitori. Da tutta Italia e dall’estero arrivano a comprare case a Milano: non per viverci, ma per investire. Così (lo dicono i dati Tecnocasa) oggi per comprare un appartamento di 85 metri quadrati, a Milano sono necessari 13 o 14 anni di stipendio medio, senza toccare un solo centesimo per altre spese (la media italiana è circa la metà, 6,9 anni).

Di fronte a questo, la sinistra è afona, propone giardinetti e piazze colorate, invece di case popolari: non ne costruisce di nuove e fa fatica a ristrutturare e assegnare quelle che ci sono, che restano sfitte. Intanto il Comune con gli oneri di urbanizzazione più bassi d’Europa fa cassa vendendo il suo patrimonio immobiliare, il Pirellino, la sede dell’Aem, il Palazzo delle Scintille… E permette addirittura la distruzione del suo stadio, il Meazza.

Il Piano di governo del territorio prevede un indice di edificazione massimo di 0,35. Ma tutti i grandi interventi immobiliari, da Albertini a Sala, sono oltre questa soglia: Porta Nuova 1,65; City Life 0,79; Cascina Merlata 0,71; Portello Nord 0,57; Santa Giulia 0,55; Porta Vittoria 0,52; Città della Salute (Sesto) 1; Rogoredo 1; Lambrate 1; Porta Genova 0,99; San Cristoforo 0,88; Porta Romana 0,86; Greco-Breda 0,84; Farini 0,75; Segrate M4y 0,68; Porta Vittoria 0,52. Sono 16 grandi interventi su milioni di metri quadrati.

A questi si aggiunge l’operazione Città Studi: spostare le facoltà scientifiche della Statale sull’area Expo solo per rendere vendibile ai privati un’area che altrimenti resterebbe desolata, a testimoniare in eterno il fallimento di Expo; e traslocare a Sesto, chissà perché, due poli d’eccellenza come il Neurologico Besta e l’Istituto dei tumori.

Poi c’è San Siro: lo stadio invece no, per compiacere i fondi esteri rappresentati da Paolo Scaroni non deve essere costruito altrove con i soldi dei club (iniziativa privata), ma deve restare a San Siro, su terreni pubblici e pagato da un’operazione generosamente offerta dal Comune (assistenzialismo). Una sorta di reddito di cittadinanza, che ai poveri va tolto, ma a Scaroni va regalato.

Il Fatto quotidiano, 3 febbraio 2023
To Top