SEGRETI

Sepolto come un papa. Vita feroce e onori funebri di Renatino De Pedis

Sepolto come un papa. Vita feroce e onori funebri di Renatino De Pedis

Un boss sanguinario della banda della Magliana sepolto come un papa in una basilica romana. Una storia che incrocia il mistero di Emanuela Orlandi, scomparsa uscendo dalla scuola di musica che si trovava proprio nello stesso complesso della basilica in cui fu tumulato Renatino De Pedis. Una storia che si intreccia con il crac del Banco Ambrosiano, la morte di Roberto Calvi, gli investimenti di Cosa nostra nello Ior, la banca Vaticana, e le imprese della banda della Magliana, diventata un’agenzia di servizi criminali per la mafia, per la P2, per i servizi segreti dello Stato. Una storia che aspetta ancora verità e giustizia.

Enrico De Pedis, detto Renatino, è stato l’unico italiano che non ha potuto godere dell’assoluzione di Giulio Andreotti. Assoluzione a Perugia (dov’era accusato di essere il mandante dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli). Assoluzione ecumenica, che ha mandato a casa puliti, a Perugia, tutti gli imputati davanti alla Corte d’assise: pulito Giulio Andreotti, senatore della Repubblica e sette volte presidente del Consiglio; pulito Claudio Vitalone, ex magistrato, ex senatore, ex ministro Dc; puliti i mafiosi di Cosa nostra (i boss Tano Badalamenti e Pippo Calò, il killer Michelangelo La Barbera) accusati di aver organizzato l’assassinio per fare un favore ad Andreotti; pulito Massimo Carminati, della banda della Magliana, che secondo l’accusa fu il secondo killer.

Non ha potuto gioire, Renatino De Pedis – che della banda della Magliana è stato un boss – perché da molti anni riposa in pace: in una sontuosa tomba nella cripta di una basilica romana, in compagnia di santi, benefattori insigni e principi della Chiesa. Lui, che secondo la ricostruzione dei fatti presentata dalla pubblica accusa (e non accettata dalla Corte) fu uno dei protagonisti dell’operazione Pecorelli, lui che secondo i magistrati s’incontrò faccia a faccia con Vitalone per discutere gli affari della banda della Magliana, è stato il primo della compagnia a essere santificato: due mesi dopo la sua morte (anch’egli fu assassinato, il 2 febbraio 1990, in una delle tante faide tra i diversi gruppi che componevano la banda) fu inumato nella basilica di Sant’Apollinare in Urbe, dentro un sarcofago di marmo bianco, argento, oro e zaffiri.

La procedura fu eccezionale: tutte le altre sepolture della cripta risalgono al secolo scorso, ma per il boss è stata fatta un’eccezione; e venne sbloccata grazie a un nulla osta concesso a tempo di record dal vicario di Roma, l’eminentissimo cardinale Ugo Poletti.

Le vipere del Gianicolo

«Conoscevo Renato De Pedis fin da piccolo, quando andavamo insieme al Gianicolo a cacciare le vipere per trarne il veleno che vendevamo in farmacia per raggranellare qualche lira.» Così lo ricorda Fabiola Moretti, dark lady della Magliana. Entrata come testimone d’accusa nel processo Pecorelli, ne è uscita con un’accusa di falsa testimonianza.

«Con De Pedis sono stata legata da un sincero vincolo di amicizia, diciamo pure fraterno, perché siamo cresciuti insieme, essendo nati nello stesso quartiere di Roma, ossia Trastevere». Inizi durissimi: «Ho avuto una vita difficile, sono cresciuta nella povertà e nella miseria e per vivere ho imparato a fare di tutto».

Fabiola si lega ai boss del gruppo di Testaccio-Trastevere, i cosiddetti Testaccini, che poi diventeranno una delle batterie criminali federate nella banda della Magliana. Diventa la donna di Danilo Abbruciati, il capo dei Testaccini. «È vero, ho commesso reati con le persone che mi sono state più care di tutti, Danilo e Renato. Danilo l’ho amato come nel nostro ambiente si sa amare. Voglio dire che il fatto che noi ci amassimo non significa che in certi casi non si litigasse di brutto. Se si potesse riesumare il corpo del povero Danilo gli si troverebbero ancora i segni delle coltellate che gli ho inferto. Eppure l’ho amato e lui mi ha amata…».

Nel 1982 Abbruciati, il «povero Danilo», viene ucciso a Milano da una guardia giurata, mentre tenta di assassinare il vicepresidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone. Una morte che mostra come la banda della Magliana si fosse trasformata: certo, per anni si era dedicata con profitto al commercio di droga, all’usura, ai sequestri di persona, al traffico d’armi, al racket dei videogiochi, alle scommesse clandestine; ma era nel tempo divenuta qualcosa di più che una superbanda di gangster romani, era diventata un’agenzia di “servizi criminali” pronta a entrare in funzione per i più diversi lavori sporchi, a disposizione di molti poteri, al centro di una fitta rete di rapporti, di alleanze, d’affari: con Cosa nostra rappresentata a Roma da Pippo Calò, con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, con i camorristi di Michele Zaza e Lorenzo Nuvoletta, con la ’Ndrangheta calabrese di Paolo De Stefano, con i milanesi di Francis Turatello; ma anche con i fascisti di Aldo Semerari e di Giusva Fioravanti, con faccendieri come Flavio Carboni, con la P2 di Licio Gelli, con i servizi segreti stregati da Francesco Pazienza, con ambienti e personaggi (quelli andreottiani) della magistratura e della politica.

Dopo la morte di Abbruciati, è Renato De Pedis ad assumere la guida dei Testaccini. Due anni prima era morto (ammazzato dai killer del clan dei Proietti) anche Franco Giuseppucci detto “er Negro”, boss del gruppo originario del quartiere della Magliana. De Pedis ne aveva ereditato i rapporti di un certo livello: «Non i contatti con persone della malavita, che erano piuttosto normali, ma», racconta Antonio Mancini detto “l’Accattone”, «i contatti con organi dello Stato, con funzionari di questa o quella polizia».

De Pedis, secondo la ricostruzione della pubblica accusa, incontra Claudio Vitalone almeno tre volte, tra il 1983 e il 1984. La seconda volta i due cenano insieme al ristorante romano La Lampara. E, sempre secondo l’accusa, coinvolto «da alcuni siciliani», Renatino «si adopera per organizzare l’omicidio Pecorelli». Uno dei (presunti) killer del giornalista, Angelo La Barbera, consegna proprio a De Pedis la pistola, un’automatica cromata, usata per l’assassinio. Abbruciati dirà poi a Fabiola Moretti, che aveva in mano quell’arma: «Lì c’è l’abbacchio di Pecorelli».

I diversi gruppi federati nella banda della Magliana fanno affari insieme, ma poi si affrontano anche in interminabili faide. De Pedis fa parte del commando che il 23 gennaio 1981 entra nella sala corse romana di via Rubicone e ammazza Orazio Benedetti detto Orazietto, ras delle scommesse ippiche, aderente al clan dei Proietti: una vendetta per l’uccisione di Giuseppucci “er Negro”, che sarà in seguito completata con l’uccisione dei fratelli Mario e Maurizio Proietti.

Il mese successivo De Pedis decide, insieme agli altri boss della Magliana, l’eliminazione di Nicolino Selis, ras del gruppo di Acilia-Ostia. Renatino elimina anche uno spacciatore di cui la banda si era servita, Massimo Barbieri, ritenuto ormai inaffidabile. E secondo i racconti di un collega di banda, Maurizio Abbatino, De Pedis fa parte anche del gruppo di fuoco che dietro ordine di Pippo Calò elimina, il 17 ottobre 1981, Domenico Balducci detto Mimmo il Cravattaro, che nella vetrina del suo negozio di elettrodomestici di Campo de’ Fiori aveva affisso il cartello: “Qui si vendono soldi”.

Alla fine, anche Renatino resta vittima della guerra tra le fazioni della banda. Venerdì 2 febbraio 1990, in via del Pellegrino, a pochi passi da Campo de’ Fiori, due colpi secchi mettono fine alla sua carriera. Resta a terra, con un rivolo di sangue che gli esce dalla bocca. Ha trentacinque anni. Lascia (intestato a familiari o prestanome) un piccolo impero: ristoranti a Trastevere e nel centro di Roma, la boutique Coveri, un locale notturno di moda, il Jackie ’O, l’immobiliare Edda Prima e tanti altri negozi, imprese edili, società.

Il corpo è trasportato all’istituto di Medicina legale. Quattro giorni dopo, il 6 febbraio, è tumulato al cimitero del Verano, area 73, nel loculo di proprietà del suocero, Aldo Di Giovanni. Ma è una soluzione provvisoria. Il 23 marzo la vedova, Carla Di Giovanni, presenta alla direzione dei servizi funebri comunali la domanda di “estumulazione” dal Verano.

Subito accettata, con procedura eccezionale. Agli agenti della Dia che negli anni Novanta hanno cercato di capire come sia stato possibile un così inusuale trattamento, il direttore in carica dei servizi funebri ha dichiarato che se avesse dovuto trattare personalmente una pratica simile, data l’eccezionalità dell’evento avrebbe sicuramente chiesto parere all’Avvocatura dello Stato. Invece il suo predecessore non ha trovato niente di strano nel mesto trasloco.

Benefattore del Vaticano

Così dal 24 aprile 1990 Enrico De Pedis detto Renatino riposa, unico ospite del Novecento, in un grande sarcofago di marmo bianco, con incisa la scritta ENRICO DE PEDIS. Sopra il sarcofago è posta una cornice d’argento con la sua fotografia. Sulla sinistra del sargofago brilla la scritta RENATO, composta con oro e zaffiri incastonati nel marmo candido.

L’accettazione nella basilica di Sant’Apollinare è stata fulminea. Monsignor Piero Vergari, rettore della basilica e amico di De Pedis (era infatti anche cappellano del carcere di Regina Coeli) manda la vedova dal vicario di Roma Ugo Poletti, armata di una dichiarazione datata 6 marzo 1990 che dice: «Si attesta che il signor Enrico De Pedis, nato in Roma-Trastevere il 15/5/1954 e deceduto in Roma il 2/2/1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la basilica e ha aiutato concretamente tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi specialmente alla loro formazione cristiana e umana». Una vita esemplare.

La dichiarazione è accompagnata da una lettera firmata da «don Piero Vergari, rettore» e indirizzata a «Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Ugo Poletti, Vicario Generale di Sua Santità». Dice: «Eminenza Reverendissima. Per desiderio della famiglia De Pedis oso chiedere a cotesto Vicariato di Roma il nulla osta perché il loro congiunto Enrico De Pedis possa essere tumulato in una delle camere mortuarie site nei sotterranei della Basilica di Sant’Apollinare. Il lavoro di sepoltura sarà fatto da artigiani e operai specializzati in questo settore, che già hanno lavorato per la tumulazione degli ultimi Sommi Pontefici in Vaticano. Sarà questa anche un’occasione per risanare uno degli ambienti dei sotterranei, già luogo di sepoltura dei parrocchiani di Sant’Apollinare, da moltissimi anni lasciati in completo abbandono. Il defunto è stato generoso nell’aiutare i poveri che frequentano la Basilica, i sacerdoti e i seminaristi, e in suo suffragio la famiglia continuerà a esercitare opere di bene, soprattutto contribuendo nella realizzazione di opere diocesane. Mentre la ossequio con ogni cordialità, chiedo la Santa Benedizione per me, i sacerdoti che collaborano nel servizio pastorale della Basilica, i seminaristi e i poveri che assistiamo».

Il cardinal Poletti quattro giorni dopo firma il nulla osta: «Si dichiara che da parte del Vicariato nulla osta, per quanto è di sua competenza, alla tumulazione della salma di Enrico De Pedis, deceduto il 2/2/1990, in una delle camere mortuarie site nei sotterranei della Basilica di Sant’Apollinare in Roma».

I lavori nei sotterranei vengono svolti celermente. Costo dichiarato: 37 milioni dell’epoca. Nessuna interferenza del Comune o dello Stato. D’altra parte, il tono della comunicazione inviata in data 20 marzo da monsignor Vergari ai Servizi funebri comunali è perentorio: «Il sottoscritto Monsignor Piero Vergari, rettore della Basilica di Sant’Apollinare, attesta che la Basilica in base al Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede dell’11 febbraio 1929 è proprietà esclusiva della Sede Apostolica che ha la facoltà di dare all’immobile l’assetto che crede senza bisogno di autorizzazioni o consensi da parte di autorità governative, provinciali o comunali italiane».

I frastornati agenti della Dia che stavano indagando su banda della Magliana e omicidio Pecorelli, di fronte a tanto onore funebre e a così autorevoli sponsor, si recano dalla vedova di De Pedis e cercano di chiederle almeno perché ha scelto proprio Sant’Apollinare. La vedova spiega: a quella basilica era legata per «motivi affettivi personali fin da ragazza», ma poi nel 1988 lì si sposò con Renatino. In seguito De Pedis divenne benefattore della basilica con «assidui, costanti e consistenti oboli». Nel giorno del matrimonio, con fare tra il serio e il faceto, aveva detto alla novella sposa: «Il giorno che mi tocca, piuttosto che al cimitero mi piacerebbe essere portato qui…».

Giunto il momento, è stato realizzato il desiderio di Renato De Pedis, in vita “anima persa” dei Testaccini, dopo la morte accolto come un papa nelle braccia misericordiose di Santa Madre Chiesa, che ha visto lontano e ha assolto il suo generoso benefattore ben prima dei giudici di Perugia.

(Gianni Barbacetto, Campioni d’Italia, Marco Tropea editore, 2002)

 

Nella foto qui sotto, la Basilica di Sant’Apollinare in Roma, il giorno in cui fu aperta la tomba di Enrico De Pedis, il 14 maggio 2012, per ordine dell’autorità giudiziaria dopo la diffusione della notizia della sepoltura del boss nella basilica. In seguito, il 18 giugno 2012 la salma di De Pedis fu trasferita al cimitero di Prima Porta dove venne cremata. Poi le ceneri furono disperse in mare.

Gianni Barbacetto, “Campioni d’Italia”, Marco Tropea editore, 2002
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