GIUSTIZIA

Ruby 3, la difesa trova il cavillo: Silvio paga i testimoni, ma non è corruzione giudiziaria

Ruby 3, la difesa trova il cavillo: Silvio paga i testimoni, ma non è corruzione giudiziaria

Mentre Giorgia Meloni sostiene a Roma “di non essere ricattabile”, Silvio Berlusconi a Milano potrebbe invece essere ricattato: dalle decine di ragazze che gli chiedevano soldi mentre erano chiamate a testimoniare nei processi Ruby 1 e Ruby 2. Lo ha adombrato ieri il difensore di Berlusconi, Federico Cecconi, nella sua lunga arringa difensiva (alimentando in aula la silenziosa preoccupazione dei colleghi difensori delle ragazze).

Ma Cecconi ha soprattutto plasmato il cavillo che potrebbe salvare, ancora una volta, il suo assistito. Una bomba che potrebbe disintegrare il processo Ruby 3, in cui il fondatore di Forza Italia è accusato di aver pagato le ragazze e altri testimoni per farli mentire davanti ai giudici, raccontando che le feste di Arcore dell’estate 2010 erano “cene eleganti” e non festini del “bunga-bunga”.

“Indagate sostanziali”: ecco la formula destinata a entrare nella storia giudiziaria (e politica) di Berlusconi. L’avvocato Cecconi ha fondato il suo ragionamento sull’ordinanza che il 3 novembre 2021 ha dichiarato “inammissibili” nel dibattimento le dichiarazioni precedentemente rese delle ragazze.

Il collegio presieduto da Marco Tremolada che sta giudicando Berlusconi e 28 testimoni per falsa testimonianza e corruzione in atti giudiziari, infatti, nel novembre 2021 accoglie un’eccezione avanzata tre anni prima, nel gennaio 2019, dai legali di Berlusconi. E stabilisce che le ragazze ospiti dei festini non erano testimoni, nei processi Ruby 1 e Ruby 2, ma le si doveva considerare indagate in procedimento connesso: perché “già il 21 marzo 2012” i pm milanesi cominciano a fare accertamenti sui soldi che le ragazze ricevono da Silvio.

Già da quel momento, dunque, la Procura “aveva elementi indizianti le elargizioni di Berlusconi in favore delle ragazze”. Svapora così il reato di falsa testimonianza, perché – secondo l’ordinanza del Tribunale – le ragazze andavano subito iscritte nel registro degli indagati e nel Ruby 1 e Ruby 2 dovevano essere sentite come indagate in procedimento connesso, assistite da un difensore e con facoltà di non rispondere.

Ieri Cecconi ha fatto un passo in avanti in questo ragionamento, sostenendo che con quell’ordinanza “non solo viene meno la falsa testimonianza, ma anche la corruzione in atti giudiziari”: perché, appunto, le ragazze dovevano essere considerate “imputate sostanziali”, dunque non pubblici ufficiali; ma così i soldi incontestabilmente pagati da Berlusconi non possono far scattare il reato di corruzione in atti giudiziari.

Erano, semmai, legittimi e leciti atti di generosità dell’amico Silvio, con una “causale riparatoria e risarcitoria” per le ragazze che avevano “subìto un danno reputazionale” perché dipinte dai pm e raccontate dai giornali come prostitute. Oppure potevano essere il cedimento di Silvio alle richieste estorsive delle ragazze. Più in generale, comunque, “non c’è prova dell’accordo corruttivo” tra Berlusconi e le ragazze. Tutti gli imputati vanno dunque assolti “perché il fatto non sussiste”.

L’accusa, rappresentata da Tiziana Siciliano e Luca Gaglio, aveva già chiesto, nella sua requisitoria del maggio scorso, condanne per tutti gli imputati, 5 anni per Karima e 6 anni per Berlusconi. E aveva sostenuto che le ragazze erano diventate “pubblici ufficiali” già nel momento in cui erano state ammesse dal Tribunale come testimoni nel processo Ruby 1: e cioè il 23 novembre 2011 (ben prima, dunque, della primavera 2012 in cui, secondo la difesa Berlusconi e il Tribunale, avrebbero dovuto assumere il ruolo di imputate in reato connesso).

I pm avevano aggiunto che l’eventuale, successiva “cessazione della qualità di pubblico ufficiale”, secondo la giurisprudenza e il codice penale, non fa cadere il reato di corruzione in atti giudiziari, contestato dall’accusa fino al 2015. Il discorso di Cecconi (e l’ordinanza di Tremolada) non valgono comunque per due imputate, Barbara Guerra e Iris Berardi, perché almeno loro due sono state subito iscritte come indagate. Ma con “imputazione zoppa”, sostiene Cecconi, perché Berardi non andò mai a testimoniare. Nella prossima udienza, il 2 novembre, concluderà l’arringa difensiva il professor Franco Coppi.

Il Fatto quotidiano, 18 ottobre 2022 (versione estesa)
To Top