POLITICA

Giorgia (ed Enrico) sulle elezioni smentiscono Marilyn

È curioso che, mentre la campagna elettorale è ancora in corso, dentro il Pd si sia già aperto, di fatto, il dibattito su chi dovrà essere il nuovo segretario del partito. Segno inesorabile di un fallimento che per essere constatato non ha neppure bisogno di aspettare il 26 settembre. Gli errori di Enrico Letta, infatti, hanno ottenuto il risultato di smentire seccamente, per la prima volta, Marilyn Monroe: “Le elezioni sono uno spasso, perché non si sa mai prima chi vince”, diceva Marilyn sorridendo a Laurence Olivier, nel film Il principe e la ballerina.

Questa volta invece lo si sa. Il partito di Giorgia Meloni è quotato dai sondaggi attorno al 25 per cento. I suoi alleati, Lega e Forza Italia, non stanno benissimo, prosciugati nei consensi dal socio oggi più cool, Fratelli d’Italia; ma comunque i tre partiti sommeranno i loro voti e il risultato potrebbe essere una solida maggioranza di destra, più che sufficiente a portare Giorgia a Palazzo Chigi. La speranza di Carlo Calenda e soci – che avvenga prima o poi un ribaltone o un’implosione che portino a un ritorno del governo dell’accozzaglia – appare improbabile. E contraddire ancora una volta le scelte degli elettori sarebbe una soluzione poco sana per la democrazia italiana.

Ma il (probabile) governo di Giorgia Meloni sarà il ritorno del fascismo? È ipotizzabile che vorrà tentare una decisa svolta a destra, un attacco ai diritti civili, a quelli sociali e del lavoro (in questo proseguendo e completando l’azione di Matteo Renzi e del centrosinistra). Quando succederà, qualcuno si chiederà che cos’è successo, come sia stato possibile arrivare a questa situazione. La risposta più tranquillizzante: tutta colpa dei rubli di Putin che hanno fatto crescere la destra italiana. (A proposito, 300 milioni dal 2014 a oggi in ventiquattro Paesi del mondo: braccino corto, questo Putin).

Chi non voglia accontentarsi della risposta geopolitico-complottista, per trovare una spiegazione dovrà cercare di confrontare i numeri della crescita di Giorgia Meloni con le date della politica italiana. Alle elezioni politiche del 2018, Fratelli d’Italia era un partitino del 4,4 per cento. Parte il governo del Movimento 5 stelle insieme alla Lega di Matteo Salvini e Giorgia, che sta all’opposizione, comincia a crescere. Alle elezioni europee del 2019 arriva al 6,4 per cento.

A ottobre 2020 raggiunge i Cinquestelle, al 16 per cento, e li sorpassa. Il Movimento è al governo (Conte 2) con il Pd. È sempre al 16 per cento quando, nel febbraio 2021, Matteo Renzi con una manovra di palazzo fa cadere il governo guidato da Giuseppe Conte. A palazzo Chigi arriva Mario Draghi, con un governo dell’establishment sostenuto da tutti i partiti, tranne Fratelli d’Italia e Sinistra italiana. Da questo momento, Giorgia Meloni decolla. Inizia una crescita costante, fino a oggi. Stando all’opposizione, diventa il punto di riferimento della protesta contro il governo dei Migliori, l’alternativa all’establishment.

In verità, Giorgia non è una appena arrivata sulla scena politica italiana, non è affatto “nuova”: il suo partito e i suoi candidati di punta sono stati al governo per anni, insieme a Silvio Berlusconi e a Matteo Salvini. Ma la percezione degli elettori è che oggi sia una scelta inedita: “Ne abbiamo viste tante, adesso proviamo lei”, sentiamo ripetere. Fino al 2018, gli elettori anti-establishment potevano scegliere anche una forza non di destra, il Movimento 5 stelle, rimasto fino allora fuori dal Palazzo. Poi è arrivato Renzi, a minare il governo Conte e l’alleanza Cinquestelle-Pd. E Beppe Grillo, a inchiodare i Cinquestelle al governo dei Migliori, facendone sprofondare il consenso (subito risalito infatti dopo la caduta di Draghi). Ma intanto Giorgia è arrivata al 25 per cento. E Marilyn tace.

Il Fatto quotidiano, 16 settembre 2022
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