MILANO

Sala, che “garanti”! Il notaio del Milan boccia il referendum su San Siro

Che fine ha fatto il partito di Giuseppe Sala con Luigi Di Maio? È stato annunciato con articoli entusiasti che raccontavano gli incontri tra i due, un “colloquio” a New York e un “vertice politico” a casa di Sala, a Brera. Poi il sindaco di Milano ha traslocato in un appartamento di Porta Venezia e del partito non si è saputo più niente (né qualcuno gli ha mai più posto domande a proposito).

Di Maio ha trovato ospitalità e un posto sicuro nelle liste del Pd, insieme a Bruno Tabacci che gli ha garantito, con il suo simbolo, una lista per tentare di racimolare qualche voto senza raccogliere prima neppure una firma. Ormai il simbolo di partito dell’ottimo Tabacci è come una vecchia, preziosa licenza di taxi a Milano, pronta a passare di mano per poter fare il “brumista” senza dover chiedere una licenza nuova. Così il simbolo di Bruno serve a trasportare qualcuno in Parlamento: si sale, si arriva a destinazione, si paga la corsa e si scende.

Di Maio ci ha aggiunto un’ape e la nuova dizione, “Impegno civico”. Proverà a far eleggere qualcuno dei Cinquestelle che lo hanno seguito nella sua scissione. Per l’ape sarà un volo difficile. Quanto a Sala, scopriamo ora che il suo contributo è stato niente di più di una photo opportunity offerta a Di Maio, come i selfie che i vip regalano ai loro fan, che poi li espongono nella loro bottega per cercare di attirare qualche cliente in più. Sala ha ora postato su Instagram un’altra foto, in cui è ritratto con giovani compagni di squadra sul campetto di calcio di San Gian, in Engadina. Ma è un altro campo quello a cui dovrà pensare nelle prossime settimane: quello di San Siro.

Sta gestendo la trattativa con Milan e Inter con stile putiniano. Le due squadre vogliono abbattere un bene pubblico (e storico), il Meazza, per realizzare su aree pubbliche, con la scusa di un nuovo stadio, una megaspeculazione edilizia da 1,2 miliardi di euro che metta in ordine i loro conti. Sala-Putin ha detto sì, ha tenuto il consiglio comunale fuori dal dibattito e, pur mostrando un’aria svogliata, ha fatto approvare per due volte alla sua obbedientissima giunta una “dichiarazione d’interesse pubblico”, così, sulla fiducia, perché a oggi i club non hanno ancora consegnato un progetto definitivo della loro cementifera operazione.

I comitati di cittadini hanno allora raccolto le firme per indire due referendum popolari per far decidere i milanesi. Ma Sala-Putin ha fatto dare agli uffici comunali parere negativo sui quesiti, poi ha nominato i tre garanti a cui spetta la decisione definitiva sull’ammissibilità dei referendum cittadini: naturalmente hanno detto no. Non hanno deciso che i quesiti sono inammissibili, ma sono entrati nel merito, perché evidentemente a loro il programma speculativo delle squadre è piaciuto.

Hanno usato una versione-Sala del “Comma 22”, per cui sono possibili tutti i referendum sulle decisioni del sindaco Sala; ma se vanno contro le decisioni del sindaco Sala non sono possibili. Sono, del resto, garanti molto sopra le parti. Accanto al presidente del collegio, l’avvocato Michele Saponara, già parlamentare di Forza Italia, c’è – come ha fatto notare Francesco Floris – Arrigo Roveda, storico notaio della Fininvest e della famiglia Berlusconi. Fu nel suo studio che fu convocata l’assemblea del Milan che nell’aprile 2017 ha ratificato il passaggio di proprietà del club dalla Fininvest al cinese Yonghong Li.

Contro la decisione dei garanti alla russa, il Comitato promotore dei referendum per San Siro ha presentato un ricorso al Tribunale civile di Milano. E insieme al Comitato Sì Meazza ha indetto per il 14 settembre una manifestazione davanti a Palazzo Marino: per salvare lo stadio dei milanesi e bloccare l’operazione immobiliare che fa comodo solo ai conti dei due club.

Il Fatto quotidiano, 25 agosto 2022
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