GIUSTIZIA

Fibronit, inchiesta sulle bonifiche nella fabbrica della morte

Fibronit, inchiesta sulle bonifiche nella fabbrica della morte

La fabbrica dei veleni ha diffuso morte dal 1932 al 1994. Ma poi non è finita. La Fibronit di Broni, nell’Oltrepò pavese, per tutti quegl’anni ha prodotto manufatti per edilizia in amianto. Come la più famosa Eternit di Casale Monferrato, che nella provincia di Alessandria ha provocato almeno 2.500 morti. Le fibre di amianto diventano piccolissime particelle che volano nell’aria, avvelenano l’ambiente, si depositano invisibili sulle cose e nei polmoni e provocano asbestosi e quella terribile forma di cancro chiamata mesotelioma pleurico.

Ha la memoria lunga, l’amianto. Sonnecchia anche per trent’anni nell’apparato respiratorio degli uomini che lo hanno lavorato, delle donne che hanno lavato le tute dei mariti, dei bambini che hanno giocato nelle aree delle fabbriche della morte. Poi si risveglia e chiede il conto. Contrastato dai medici che all’inizio non capivano che cosa stesse succedendo e dai movimenti che hanno chiesto giustizia, combattendo – spesso sconfitti – contro la prescrizione e le leggi inadeguate. La memoria degli uomini è molto più corta della memoria dell’amianto. Così la Fibronit di Broni era stata quasi dimenticata. Ma ieri è tornata alla ribalta delle cronache.

La Procura di Pavia ha mandato la Guardia di finanza a sequestrare un’area di circa 140 mila metri quadrati: sono i terreni della ex Fibronit. “Sito d’interesse nazionale”: lo chiamano così, per non evocare anche nel nome la morte che continua a produrre negli anni, per decenni. Sono vasti terreni contaminati classificati come pericolosi, che devono essere radicalmente bonificati. Ma i lavori di bonifica – secondo la Procura di Pavia – sono compiuti da anni in maniera inadeguata e truffaldina. Le società che dovrebbero ripulire l’area dei veleni incassano i soldi pubblici – più di 8 milioni di euro pagati dal ministero dell’Ambiente e dalla Regione Lombardia – ma lasciano che l’amianto continui a fare i suoi danni.

Al lento, mortale lavorio delle fibre d’amianto presenti nell’ambiente, si sono aggiunti gli atti sciagurati dei bonificatori della morte

I reati contestati ai responsabili delle aziende coinvolte sono frode nelle pubbliche forniture, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, reati contro l’ambiente,  come inquinamento ambientale, omessa bonifica, attività di gestione di rifiuti non autorizzata, violazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi connessi all’esposizione all’amianto.

La Guardia di finanza ieri ha anche perquisito gli uffici della stazione appaltante e di due società impegnate nella progettazione ed esecuzione del secondo lotto di bonifica. “I lavori consistevano nel completamento dello smaltimento dei manufatti/tubazioni collocati sui piazzali esterni dello stabilimento, della bonifica dell’interno dei capannoni contaminati da amianto e della rimozione e smaltimento di tutte le lastre di copertura e tamponamento degli edifici dell’area”: così spiega in un comunicato il procuratore di Pavia Fabio Napoleone.

L’inchiesta è stata avviata nel 2019 e ha portato a “ipotizzare fondatamente”, continua il procuratore, “l’esistenza di un articolato sistema di frode in pubbliche forniture e prestazioni di servizi”. Durante i lavori di bonifica, “sarebbero stati disattesi gli obblighi derivanti da un contratto di fornitura concluso con una società a partecipazione pubblica, violando, illecitamente e ripetutamente, le prescrizioni progettuali autorizzate, con la conseguenza di non provvedere, di fatto, al corretto ripristino” dell’area.

“Alcuni degli indagati, fra cui i direttori di cantiere, dei lavori e della sicurezza, (…) avrebbero consentito che l’esposizione alla polvere proveniente dall’amianto non venisse ridotta al minimo, con pregiudizio per gli operatori stessi e per la contaminazione dell’ambiente esterno”. Al lento, mortale lavorio delle fibre d’amianto presenti nell’ambiente, si sono aggiunti gli atti sciagurati dei bonificatori della morte.

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Il Fatto quotidiano, 27 maggio 2022
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