GIUSTIZIA

Addio a Rocco Stragapede, la “scatola nera” di Mani pulite che non tradì Di Pietro

Addio a Rocco Stragapede, la “scatola nera” di Mani pulite che non tradì Di Pietro

“Onore a Rocco Stragapede, uno dei pochi collaboratori del pool che non si è voluto mai vendere al diavolo”. Così Antonio Di Pietro ricorda il suo amico e collaboratore durante gli anni di Mani pulite, sempre al suo fianco, silenzioso e fedele. Se n’è andato a pochi giorni dal trentesimo anniversario dell’inchiesta che ha rivelato Tangentopoli, a 71 anni, portato via dalla Sla dopo un decennio di sofferenze. Lo ricordiamo come l’ombra di Di Pietro, sempre accanto al magistrato, sempre presente a centinaia d’interrogatori, custode dei verbali e dei fascicoli dell’inchiesta iniziata il 17 febbraio 1992 con l’arresto del socialista Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, la Baggina dei Milanesi.

Poliziotto della Stradale, aveva conosciuto il magistrato nel 1987, quando questi era impegnato in una delle sue prime inchieste, quella sulle “patenti facili”. Era entrato a far parte della mitica squadretta di polizia giudiziaria di Di Pietro e ne era divenuto l’anima, l’uomo più vicino al pm. Partita Mani pulite, era diventato la “scatola nera” delle indagini, l’ombra di Di Pietro, il silenzioso custode dei segreti dell’inchiesta che stava cambiando l’Italia. Mentre attorno al magistrato di Mani pulite si affollavano i falsi amici, i traditori, gli autori di calunnie e dossieraggi, Stragapede restava fedele all’amico pm, ma soprattutto alle istituzioni e alla giustizia.

“Gli devo solo gratitudine”, dice ora, commosso, Di Pietro, “e credo che anche le istituzioni gliene debbano. Non mi ha soltanto aiutato a portare avanti le indagini, ma ha rifiutato qualsiasi tentativo di fermare l’inchiesta e di partecipare a dossieraggi contro di me. Di lui ho fatto bene a fidarmi, era come un fratello e mi mancherà come un fratello. Abbiamo condiviso un pezzo di vita, giorni e notti insieme. Come quelle trascorse al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano, per dividere gli incarichi che il mattino successivo dovevamo distribuire alle varie forze di polizia, in modo tale che ognuna potesse operare senza che l’altra sapesse che cosa doveva fare: proprio perché sapevamo che all’interno delle stesse forze di polizia c’erano dei traditori”.

“Sì, con Di Pietro il rapporto era speciale”, conferma Gabriele, uno dei suoi cinque figli. “Mio padre ha sempre parlato di quegli anni, era orgoglioso di quella stagione. È stato molto di più di un collaboratore. Ha sempre agito senza cercare le luci della ribalta e oggi mi fa piacere che venga ricordato per quanto di bene ha fatto al nostro Paese. Rocco Stragapede al lavoro: è questo il ricordo più intenso che si possa dare di papà. È stata la sua vita”.

Fu sentito anche come testimone a Brescia, in una delle tante inchieste che hanno tentato di distruggere Di Pietro (sempre prosciolto) e, con lui, Mani pulite. Era colui che custodiva i dossier più delicati, per impedire che cadessero nelle mani di chi faceva il doppio gioco: “E c’era chi lo faceva”, ricorda Di Pietro. “Come poi abbiamo capito. Sono passati trent’anni, ma dobbiamo un riconoscimento a un uomo che ha trascorso gli ultimi dieci anni in un letto per la malattia”. Tempo fa, Rocco aveva mandato al suo pm questo messaggio: “Antonio, abbiamo arrestato tanta gente, dovevamo arrestare il tempo che passa”.

Il Fatto quotidiano, 2 febbraio 2022
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