POLITICA

Serravalle. Il conto, salato, è già arrivato alla sinistra (nelle urne)

Serravalle. Il conto, salato, è già arrivato alla sinistra (nelle urne)

Non è archeologia politica, o giudiziaria, la sentenza definitiva che è arrivata, 16 anni dopo, sull’affare Serravalle. Quello che vide contrapposti l’allora presidente della Provincia di Milano, Filippo Penati (Pd), e l’allora sindaco di centrodestra di Milano, Gabriele Albertini. La sentenza – contabile, non penale – presenta oggi un conto molto salato: 44,5 milioni di euro che dovranno essere pagati dagli uomini della ex giunta Penati.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, che a dicembre 2021 ha respinto i ricorsi e ha reso definitiva la sentenza d’appello della Corte dei conti che nel 2019 aveva condannato Penati a pagare 19,8 milioni, il suo segretario generale, Antonino Princiotta, 14,8 milioni, 4,9 milioni a testa i funzionari Giordano Vimercati, capo di gabinetto di Penati, e Giancarlo Saporito, direttore generale; e infine 4,9 milioni complessivi gli otto assessori della giunta (Giansandro Barzaghi, Irma Dioli, Alberto Mattioli, Daniela Gasparini, Alberto Grancini, Rosaria Rotondi, Pietro Mezzi e Pietro Luigi Ponti).

Non è archeologia politica o giudiziaria, perché illumina una storia che è la storia della politica – e della politica di sinistra – che ci fa capire come siamo arrivati a oggi. Che cos’era, l’affare Serravalle? Penati, nel 2005, decise a sorpresa di far comprare dalla Provincia di Milano il 15 per cento delle azioni della società Serravalle, che controlla l’autostrada Milano-Genova e le tangenziali milanesi.

Insorse l’allora sindaco Albertini, che obiettò: perché comprare con soldi pubblici azioni di una società di cui gli enti pubblici (la Provincia e il Comune insieme) hanno già la maggioranza? A fare l’affare fu solo il venditore, cioè il gruppo Gavio, che incassò ben 238 milioni, vendendo a 8,93 euro azioni che solo diciotto mesi prima aveva pagato 2,9 euro: realizzando dunque una plusvalenza di 176 milioni di euro.

Albertini dichiarò seccamente che Penati aveva fatto un regalo cash a Marcellino Gavio, allora re delle autostrade. E suggerì anche una spiegazione: quel regalo doveva convincere Gavio a schierarsi a fianco dei “furbetti del quartierino”, che nel 2005 avevano dato l’assalto a un paio di banche. In effetti, Gavio sostenne Giovanni Consorte, allora presidente di Unipol (la compagnia d’assicurazioni legata al vecchio Pci), nella sua scalata alla Banca nazionale del lavoro: il re delle autostrade investì infatti 50 milioni di euro in Bnl, a fianco di Consorte.

Fu poi l’intervento della Procura di Milano a far fallire la scalata e a fermare i “furbetti del quartierino” (autodefinizione coniata dal più pittoresco di loro, l’immobiliarista Stefano Ricucci). Ma intanto l’operazione Serravalle era andata in porto e la Provincia si era pesantemente indebitata per azioni che si sono poi dimostrate una zavorra. Oggi la Serravalle è passata alla Regione Lombardia (e alla Regione Lombardia dovranno essere pagati i 44,5 milioni stabiliti dalla sentenza).

Le vicende dei “furbetti” e i loro echi nella politica (“Abbiamo una banca?”) sono una svolta troppo poco ricordata nella storia della sinistra italiana, che in quel 2005 si mostrò ai suoi stupiti elettori più interessata alle banche e agli affari che non alla difesa del lavoro e agli ideali di uguaglianza. La Cassazione ha ora stabilito che nell’operazione di acquisto della Serravalle il valore delle azioni era stato sopravvalutato, causando un danno alla Provincia dai 35,3 ai 97,4 milioni e al Comune di Milano di 21,8 milioni.

Penati non c’è più e chi invece c’è ancora chissà se pagherà. Ma non è tanto il risarcimento che qui ci interessa, né la punizione, quanto invece una riflessione sulla storia recente della sinistra. Riflessione finora mancata, come è mancata quasi del tutto l’informazione su questa sentenza, relegata nelle cronache locali. Eppure, questa storia spiega i destini della sinistra italiana più di tanti dibattiti.

 

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Il Fatto quotidiano, 21 gennaio 2022
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