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Chi tocca Eni prende la scossa, in Nigeria (e anche in Italia)

Chi tocca Eni prende la scossa, in Nigeria (e anche in Italia)

Un articolo di Project Syndacate spiega al mondo che chi tocca l’Eni prende la scossa. Cita un poliziotto e un attivista nigeriani, ma anche i magistrati italiani della Procura di Milano e il programma Report della Rai. Project Syndacate (Ps) è un autorevole sito con base negli Stati Uniti, attivo in 156 Paesi del mondo, che ha articoli tradotti in 64 lingue. In un lungo commento firmato Eva Joly, dal titolo “La guerra della corruzione alla legge”, racconta la storia di due nigeriani, un superpoliziotto e un attivista anti-corruzione, che dopo essersi occupati delle indagini in Nigeria sull’Eni e sulla sua alleata Shell sono stati perseguitati dalle autorità e intimiditi dalla criminalità.

Ibrahim Magu, presidente della principale agenzia anti-corruzione della Nigeria, la Economic and Financial Crimes Commission (Efcc), nel 2017 ha subìto un attacco alla sua abitazione da parte di uomini armati che hanno ucciso uno dei poliziotti di guardia. “Ma le pallottole non sono state ciò che alla fine ha neutralizzato Magu”, scrive Joly. È stata la legge: “La sua rimozione dalla carica è stata architettata attraverso il lawfare”, ossia “l’uso (o abuso) della legge per fini politici”.

L’anno scorso infatti, proprio mentre l’Efcc stava indagando per corruzione il procuratore generale e ministro della Giustizia Abubakar Malami, Magu è stato arrestato, con le accuse di corruzione e insubordinazione. “Anche se le stesse accuse erano state indagate e respinte tre anni prima”, spiega Joly. Magu è stato sospeso dall’incarico, in attesa dell’esito di una commissione d’inchiesta istituita dal presidente nigeriano Muhammadu Buhari. A Magu, “che ha supervisionato con successo le indagini per corruzione di numerosi politici nigeriani di alto livello e ha ottenuto il sequestro di beni illeciti per milioni di dollari”, è stato impedito di continuare a fare il suo lavoro e gli sono state inflitte “intimidazioni senza fine”.

Olanrewaju Suraju è invece uno dei più importanti attivisti nigeriani contro la corruzione, animatore di Heda, una ong che lavora con gli inglesi di Global Witness e gli italiani di Recommon. All’inizio di quest’anno, un ex procuratore generale nigeriano, Mohammed Adoke – già indagato e arrestato per il suo coinvolgimento nell’affare della vendita a Eni e Shell della licenza d’esplorazione petrolifera Opl 245 – ha accusato Suraju di aver falsificato le prove usate nel processo per corruzione celebrato a Milano con imputate Eni e Shell (poi finito con un’assoluzione generale).

In seguito alle accuse di Adoke, Suraju è stato fermato e trattenuto per essere interrogato da un’unità di polizia incaricata di indagare sulle cattive condotte della polizia e supervisionata direttamente dal capo della polizia nigeriana. Ha provato che i documenti ritenuti falsificati erano invece quelli ottenuti dalla Procura di Milano con una rogatoria internazionale nel Regno Unito.

Infatti le carte in questione, assolutamente autentiche, erano state esibite in una causa davanti all’Alta corte di Londra intentata dallo Stato della Nigeria contro JpMorgan, la banca che aveva gestito i pagamenti di Eni per l’acquisizione del campo petrolifero Opl 245. Con ciò, le accuse contro Suraju sono cadute. “Ma i suoi problemi sono tutt’altro che finiti”, racconta Joly, allineando le molestie che l’attivista continua a subire da parte della polizia.

L’articolo di Project Syndacate ricorda che oggi Adoke sta affrontando un processo penale in Nigeria, accusato di illeciti nell’affare Opl 245. “Ma anche questo ha fatto poco bene a Suraju, che ora deve affrontare nuove accuse da parte di Adoke: cyberstalking e diffamazione”: per aver fatto circolare una email, ritenuta falsificata, e una conversazione telefonica, asseritamente manipolata, registrata dal programma Report di Rai3 che coinvolgeva Adoke nell’affare Opl 245. In realtà, Suraju non ha fatto altro che rendere pubblici in Nigeria i documenti del processo Eni di Milano e ripetere le dichiarazioni fatte dal governo della Nigeria in tribunale.

“In Italia, nel frattempo”, conclude l’articolo, “Fabio De Pasquale, il procuratore nel processo milanese a Shell e a Eni, e il suo collega, Sergio Spadaro, sono perseguiti con l’accusa di aver nascosto prove utili alla difesa, tra cui un video, la cui trascrizione dimostra che era nelle mani dell’Eni già da anni”. Il riferimento è all’inchiesta della Procura di Brescia che vede indagati De Pasquale e Spadaro per rifiuto d’atti d’ufficio. A causa “delle accuse che deve affrontare, De Pasquale, che in precedenza è riuscito a far condannare due primi ministri italiani accusati di reati economici, è probabile che venga rimosso” come pm del processo d’appello “contro Eni e Shell chiesto sia dalla Procura di Milano, sia dalla Repubblica Federale della Nigeria”.

 

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Il Fatto quotidiano, 3 dicembre 2021
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