GIUSTIZIA

Alessandra Dolci: “Riforma Cartabia, a rischio anche i processi di mafia”

Alessandra Dolci: “Riforma Cartabia, a rischio anche i processi di mafia”

Anche gli imputati mafiosi potranno godere dell’improcedibilità escogitata dalla riforma Cartabia. Lo teme Alessandra Dolci, il procuratore aggiunto di Milano a capo della Direzione distrettuale antimafia.

Rendere “improcedibili” i procedimenti che durano più di 2 anni in Appello e più di 1 in Cassazione è una buona soluzione per rendere più veloci i processi?

Forse sì, in un mondo ideale. Ma nel nostro mondo, questo diventa il modo migliore non per renderli più veloci, ma per mandare al macero migliaia di processi. È una sostanziale amnistia. Per definire un procedimento in Italia ci vogliono in media 1.038 giorni. E ci sono sette distretti di Corte d’appello che sforano questo dato. Anche solo sulla base di questi numeri si capisce che questa riforma non funziona. Per assicurare la ragionevole durata dei processi si dovrebbe aumentare gli organici dei magistrati e del personale giudiziario. Nelle Corti d’appello abbiamo un arretrato in media di due anni, i procedimenti che andrebbero a regime con la nuova disciplina andrebbero in coda a quelli già pendenti. Con quale risultato? L’improcedibilità generalizzata. E poi, che cosa facciamo delle condanne in primo grado, dopo che il giudice d’appello ha dichiarato improcedibile il procedimento perché è scaduto il tempo? Delle carenze d’organico della giustizia italiana, del resto, ha parlato anche il commissario europeo alla Giustizia.

Ma ci ripetono che questa riforma della Giustizia la dobbiamo fare perché ce lo chiede l’Europa.

L’Europa non ci chiede questa riforma, ci chiede di fare processi più veloci, abbattendo i tempi, per la giustizia penale, del 25 per cento. Gli interventi potrebbero essere l’aumento degli organici e la riduzione del numero dei processi, anche togliendo l’impossibilità di reformatio in pejus, cioè l’impossibilità di aumentare la pena in Appello. In Francia, le impugnazioni sono solo nel 40 per cento dei processi. Da noi invece quasi tutte le sentenze vengono impugnate, anche quelle di patteggiamento, spesso oggetto di ricorso per Cassazione: un continuo tentativo di prender tempo per allontanare l’esecuzione della condanna.

Questa riforma avrà impatti anche nei procedimenti di criminalità organizzata?

Le Direzioni distrettuali antimafia sono competenti anche per reati come il traffico illecito di rifiuti, spesso organizzato dalle mafie: la riforma potrebbe d’ora in avanti azzerare questi processi. Così pure quelli per reati fiscali, che contestiamo (aggravati dell’agevolazione mafiosa) ai gruppi di criminalità organizzata che in Lombardia hanno vocazione imprenditoriale.

Il Parlamento dovrà dettare le priorità sui reati da perseguire.

È una proposta che presenta evidenti profili d’incostituzionalità. L’azione penale è obbligatoria e il pubblico ministero è indipendente. Ed è chiaro che le priorità sono diverse a Palermo e a Bolzano.

Come ottenere, allora, l’abbreviazione dei tempi del processo?

Questa riforma sembra avere un retropensiero: che i magistrati lavorano poco e dunque bisogna imporre loro dei tempi. Ma le statistiche europee dicono che i magistrati italiani sono tra i più laboriosi. Le strade per ridurre i tempi devono essere diverse da quelle di far scattare prescrizione o improcedibilità: ridurre il numero dei processi con una radicale depenalizzazione dei reati minori, filtri ai ricorsi in appello e in Cassazione, fine del divieto di reformatio in pejus, procedibilità a querela di parte per alcuni reati per i quali oggi si procede d’ufficio. Poi vorrei ricordare che non sento mai parlare delle vittime e delle parti offese. Potrebbe capitare a tutti noi di diventarlo, per esempio con le truffe online che oggi colpiscono migliaia di cittadini che chiedono giustizia. Che fine faranno, domani, i loro processi?

Il Fatto quotidiano, 21 luglio 2021
To Top