GIUSTIZIA

Non solo prescrizione. Ecco gli altri danni della riforma Cartabia

Non solo prescrizione. Ecco gli altri danni della riforma Cartabia

Non solo prescrizione. Le proposte della ministra Marta Cartabia riguardano (e stravolgono) anche tanti altri ambiti della giustizia penale. A proposito dei reati contro la pubblica amministrazione, ma perfino dei reati sessuali o contro le donne. È già stata ampiamente commentata – e criticata – l’introduzione della “improcedibilità” che manderebbe al macero tutti i processi che durassero più di due anni in Appello e più d’un anno in Cassazione. Ed è già stata notata la proposta di affidare al Parlamento l’indicazione dei criteri generali di priorità per selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre: molti autorevoli magistrati, giuristi e commentatori hanno sottolineato che questa sarebbe una ferita all’obbligatorietà dell’azione penale e all’indipendenza del pubblico ministero stabilite dalla Costituzione. Ma nella cornucopia Cartabia c’è molto di più. Proviamo a mettere in fila alcune perle della riforma promossa dal ministro della Giustizia, per vedere che cosa cambierà rispetto alla situazione presente e rispetto alle norme previste dal precedente ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

Patteggiamento extra large. Oggi l’imputato, nei casi previsti dalla legge, può patteggiare e ricevere sconti di pena. Con la riforma Cartabia, potrà patteggiare non solo la pena, ma anche le sanzioni disciplinari, accessorie e relative alla confisca facoltativa. Erano le uniche pene effettive, poiché chi patteggia ottiene una pena detentiva bassa che non si sconta in carcere. Con la riforma, possono sparire anche le pene disciplinari e accessorie: la sospensione per un impiegato pubblico, il licenziamento per un poliziotto accusato di violenze o per una guardia carceraria di Santa Maria Capua Vetere, l’interdizione dalla professione per un riciclatore, l’interdizione dai concorsi pubblici per chi ha provato a truccare le gare pubbliche. Si potrà patteggiare anche le confische facoltative, cercando di tenere almeno una parte del malloppo che prima il giudice poteva decidere di sequestrare.

Via la Norma Viareggio. Salta la previsione di dare la “priorità assoluta ai processi relativi ai delitti colposi di comune pericolo”: era la “Norma Viareggio”, pensata dal ministro Alfonso Bonafede per far celebrare più celermente possibile processi come quelli per la strage di Viareggio, il disastro ferroviario del 2009 in cui morirono 32 persone. Cancellata con un tratto di penna.

Appello proibito. Le sentenze di proscioglimento per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa non potranno essere appellate dal pubblico ministero. Bonafede aveva previsto un elenco di reati per cui l’appello si potesse invece fare: per lesioni colpose gravi e gravissime, lesioni commesse violando le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario, propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. Tutto cancellato. Così chi ora resterà vittima per esempio di lesioni colpose da parte di un chirurgo non potrà fare ricorso contro la sentenza che ha prosciolto il medico.

Giudice monocratico. Per aumentare la produttività dei giudici e rendere più veloci i procedimenti, il ministro Bonafede aveva previsto che, per alcuni reati, anche il processo d’Appello potesse essere celebrato da un giudice monocratico (uno solo, invece del collegio composto da tre giudici). Proposta soppressa.

Concordato per tutti. In Appello è possibile per l’imputato chiedere il Concordato, un istituto giuridico che permette di trovare un accordo tra imputato e pubblica accusa sulla pena da comminare. Il Concordato finora era escluso per i procedimenti di prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di (ingente) materiale pornografico, pornografia virtuale, ma anche violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, violenza sessuale di gruppo e così via. Con le nuove norme, il Concordato in Appello sarà previsto anche per questi procedimenti in cui le vittime sono soprattutto donne e minori.

Zero carcere. Finora è il Tribunale di sorveglianza a decidere, dopo la condanna definitiva, l’eventuale misura alternativa al carcere: l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare, la semilibertà (ovvero il lavoro fuori dal carcere). Le misure alternative si ottengono dopo aver scontato parte della pena, o negli ultimi due anni di pena, o dopo 20 anni per chi è condannato all’ergastolo. Con la riforma, sarà già il giudice di merito a decidere le pene alternative, che saranno applicate subito dopo la condanna definitiva, anche per reati gravissimi (non c’è limite di pena massima). E in più: come farà il giudice a prevedere la situazione futura dell’imputato (che potrebbe arrivare alla condanna definitiva mesi o anni dopo)? E come potrà sapere se ha un lavoro, necessario per concedere la semilibertà? Il lavoro di pubblica utilità potrà servire a sostituire la confisca facoltativa che oggi il giudice può disporre, valutando un giorno di lavoro di pubblica utilità fino alla cifra record di 2.500 euro.

Reato tenue. Oggi il giudice può assolvere un imputato che ritenga abbia commesso un reato tenue, per delitti che prevedono una pena massima fino a 5 anni. Con la riforma, si allargano i confini: sarà “tenue” il reato con pena minima fino a 2 anni. Tra questi, rientrano molti reati contro le donne, come il revenge porn e la costrizione al matrimonio, oppure la truffa, reati contro la pubblica amministrazione, il traffico di sostanze stupefacenti.

No querela, no party. Oggi per alcuni reati il processo inizia soltanto se c’è una querela: è la “procedibilità a querela di parte”. Per i delitti gravi, invece, il procedimento si avvia anche senza querela. La riforma Cartabia introduce la necessità della querela anche per alcuni reati contro il patrimonio o contro la persona. Come la minaccia grave: e il minacciato potrebbe non querelare proprio perché minacciato.

Messa in prova. Oggi il giudice può decidere di sospendere il processo con la “messa in prova” dell’imputato, che al termine della prova vedrà il suo reato estinto. Oggi lo si può fare per reati con pena massima di 4 anni. La riforma alza questa soglia a 6 anni.

Il rito abbreviato.  Nella bozza della riforma si prevede che “la pena inflitta sia ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato, stabilendo che la riduzione sia applicata dal giudice dell’esecuzione”. Chi deciderà di farsi giudicare con rito abbreviato e rinuncerà a impugnare la sentenza in Appello avrà diritto a un ulteriore sconto di pena.

L’avvocato va in Appello. La riforma Bonafede prevedeva che per ricorrere in Appello, l’avvocato dovesse avere una specifica procura speciale dal suo assistito. Cartabia elimina questa necessità, così gli avvocati che hanno avuto una procura all’inizio del primo grado, potranno andare avanti anche in Appello.

di Gianni Barbacetto e Valeria Pacelli, Il Fatto quotidiano, 22 luglio 2021 (versione ampliata)
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