AFFARI

Eni-Shell, lo “specchio olandese” che svela la corruzione

Eni-Shell, lo “specchio olandese” che svela la corruzione

Lo “specchio olandese” aleggia da anni sul processo milanese in cui Eni e Shell sono imputate di corruzione internazionale in Nigeria. Nell’udienza di ieri è entrato direttamente: una riproduzione del “Ritratto dei coniugi Arnolfini”, dipinto nel 1434 dal pittore fiammingo Jan Van Eyck, è stato portato sul banco dei giudici dal pubblico ministero Fabio De Pasquale.

Lo “specchio olandese” è, per l’accusa, l’insieme delle email scambiate nel 2010-2011 dai manager della compagnia olandese Shell, in cui si racconta l’acquisizione di Opl 245, il campo petrolifero nigeriano finito alle due compagnie dopo l’esborso — secondo i pm — di una tangente da oltre 1 miliardo di dollari. L’accusa lo ritiene provato dagli elementi raccolti a carico dei manager Eni (tra cui l’ad Claudio Descalzi), corroborati, appunto, dallo “specchio olandese”: cioè dalle comunicazioni dei colleghi della Shell.

L’avvocato Paola Severino, difensore di Descalzi, nella sua arringa aveva detto che lo “specchio olandese” distorce e deforma. Ecco allora De Pasquale produrre la riproduzione del dipinto, in cui lo specchio convesso alle spalle dei coniugi “allarga come un grandangolo la vista e ne mostra le terga che altrimenti resterebbero invisibili”. Così fanno le decine di email dei manager, “comunicazioni aziendali e veri rapporti d’intelligence”, che riferiscono ciò che i manager dicono e fanno con “the Milanese Mob” (testuale), finché l’affare sfocia nel pagamento di 1,092 miliardi di dollari su un conto JpMorgan del governo nigeriano, che però — dice il pm — “è solo un tubo” da cui passa un’unica operazione destinata a far arrivare quei soldi a pubblici ufficiali nigeriani.

L’accordo “viene raggiunto il 15 novembre 2010, il prezzo è stabilito a metà dicembre”. Descalzi — secondo il pm — poi non blocca l’operazione perché priva di trasparenza, ma “invita solo alla prudenza”, finché lo schema viene cambiato per far scomparire dall’affare la società Malabu, “imbarazzante perché controllata dall’ex ministro del petrolio Dan Etete, già condannato in Francia per riciclaggio”.

Il Tribunale ha deciso di acquisire due nuove prove raccolte per rogatoria dall’accusa: una email che dimostrerebbe gli stretti legami tra il ministro Adoke Bello e Alyu Abubakar, ritenuto dall’accusa lo “smistatore” di una parte della tangente; e un messaggio del 23 giugno 2011 in cui il responsabile dell’Antiriciclaggio di JpMorgan a proposito dei soldi versati da Eni scrive: “Siamo sospettosi che tali fondi possano essere profitto di corruzione di pubblici ufficiali”. Eni ribatte che “continuiamo ad assistere alla formulazione di accuse basate su deduzioni e suggestioni, senza elementi probatori in grado di dimostrare che Eni abbia mai corrotto pubblici ufficiali nigeriani”.

Il Fatto quotidiano, 4 febbraio 2021
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