CORONAVIRUS

Il direttore Ats Milano: “Test sopravvalutati, certi sindaci puntavano al consenso”

Il direttore Ats Milano: “Test sopravvalutati, certi sindaci puntavano al consenso” Walter Bergamaschi alla presentazione dei dati del progetto che accoglie persone che non hanno alloggi idonei alla quarantena presso l'Hotel Michelangelo a Milano, 7 luglio 2020.ANSA/Mourad Balti Touati
La Lombardia è stata una delle zone d’Europa più colpite dal Coronavirus e dove la reazione della sanità pubblica è stata più problematica. “Il sistema lombardo – risponde Walter Bergamaschi, direttore generale dell’Agenzia di tutela della salute-Ats di Milano – ha reagito a una epidemia imprevista per dimensioni e gravità: la nostra esperienza, a Milano, riguardava qualche decina di casi, questa volta ne abbiamo avuti oltre 60 mila. Ovvio che qualche ritardo o insufficienza si siano manifestati”.

La sanità territoriale debole in Lombardia ha contribuito alla diffusione record dei contagi?

La debolezza della sanità territoriale lombarda è tutta da dimostrare. Abbiamo gli stessi numeri delle altre Regioni sia nelle dotazioni che nei risultati dei livelli di assistenza. Nelle prime fasi, il territorio poteva sorvegliare i pazienti, ma non curarli: la priorità era per i malati che arrivavano al pronto soccorso e finivano in terapia intensiva.

Molti medici di base ci hanno segnalato di essere stati lasciati soli.

Abbiamo messo a disposizione un portale per segnalare casi sospetti e monitorare i casi accertati, i contatti e i pazienti fragili. I medici di famiglia hanno segnalato oltre 30 mila casi sintomatici. Se in una metropoli come Milano siamo riusciti a contenere l’incidenza dell’epidemia, è segno che questa rete collaborativa è stata efficace.

Come abbiamo raccontato giorni fa, il 19 maggio lei ha inviato al sindaco di Cisliano una diffida in cui lo intimava a non proseguire con i test sierologici non compresi nel protocollo regionale, quello che coinvolge il San Matteo di Pavia e la Diasorin. Perché?

Il test sierologico, non accompagnato da un tampone in caso di positività, non ha valore diagnostico. Non è utile per limitare i contagi perché i soggetti negativi sanno solo che possono ancora infettarsi (addirittura possono già essere infetti senza aver ancora sviluppato gli anticorpi) e quelli positivi non sanno se e quanto sono protetti. Il sindaco di Cisliano aveva un accordo con un laboratorio privato neppure autorizzato dalla Regione e aveva organizzato una campagna di test a pagamento, con tariffa di 45 euro (il rimborso riconosciuto dal Servizio sanitario regionale è di 5,2 euro). Quando sono arrivati i primi risultati positivi si è rivolto a noi per avere i tamponi. E non aveva previsto un percorso di isolamento per i positivi.

Ma a chi altro doveva rivolgersi se non alla Regione? Invece di diffidarlo a individuare i positivi, si poteva aiutarlo a creare almeno dei percorsi di isolamento.

La diffida ha ricordato al sindaco che per operare a tutela della salute pubblica ci sono regole da seguire. Allo stesso modo sono state emesse diffide anche a dentisti, ortopedici, amministratori di condominio che proponevano test sierologici al di fuori di ogni garanzia per i nostri assistiti. Le indagini epidemiologiche hanno un senso se organizzate in protocolli nazionali o regionali, con chiare finalità di studio. I sindaci cercavano consenso, più che prevenzione dei contagi.

La Regione ha inviato email ai laboratori privati accreditati minacciando di togliere la convenzione a chi avesse proseguito con i test alternativi. Perché tanto amore per il sierologico Diasorin?

Non mi risultano minacce di questo genere. Piuttosto ricordo che l’offerta privata di test sierologici, con margini di profitto consistenti, non garantiva poi la possibilità di effettuare il tampone a chi risultava positivo. Siamo intervenuti a tutela degli assistiti e per evitare speculazioni che nascevano da una domanda di test irrazionale e incontrollata.

di Gianni Barbacetto e Davide Milosa, Il Fatto quotidiano, 15 agosto 2020
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