PERSONE

Ambrogio Mauri, l’uomo che morì perché non voleva pagare tangenti

Ambrogio Mauri, l’uomo che morì perché non voleva pagare tangenti

In questi tempi di commemorazioni commosse, santificazioni tentate e amnesie selettive, voglio ricordare un uomo, un vero protagonista di Tangentopoli. Morto e dimenticato. Si chiamava Ambrogio Mauri. Imprenditore. Nella sua officina di Desio, in Brianza, il padre aveva cominciato a riparare i tram dell’Atm, l’azienda dei trasporti di Milano. Poi l’officina era cresciuta, si era trasformata in fabbrica, aveva iniziato a costruire autobus innovativi e competitivi. È Ambrogio Mauri ad avere l’idea del jumbo-tram, ottenuto unendo con piattaforme girevoli tre vetture. È lui che per primo sperimenta la carrozzeria in alluminio. Progetta il Bi-bus, l’autobus bimodale elettrico e a gasolio. Realizza il primo bus a pianale ribassato, senza gradini. Ma aveva deciso di non ungere le ruote per vincere le gare, di non pagare il pizzo mafioso della tangente ai partiti, nella craxiana Milano da bere che oggi torna a essere nostalgicamente celebrata.

Così viene escluso dagli appalti più grandi, vende i suoi bus in Italia, ma a Milano è emarginato dalle gare Atm, controllate dai cassieri di partito. Sconfitto dall’Iveco in una gara per la fornitura di cento bus a pianale ribassato, va a vedere la presentazione al pubblico dei due primi mezzi e ha un fremito: non sono dell’Iveco, ma sono i due prototipi che lui aveva venduto all’Atm qualche tempo prima. In quel momento, dopo anni di battaglie, si dichiara sconfitto. Domenica 20 aprile 1997 scrive otto lunghe lettere ai famigliari e agli amici, va nel suo ufficio in fabbrica, estrae dal cassetto una Magnum 357 e si spara un colpo al cuore. Dopo aver sollevato il maglione, per non bucarlo: ultimo gesto di un uomo che nella sua vita non aveva mai sprecato niente.

La sua storia è scritta in un libro che sarebbe bello far tornare nelle librerie. S’intitola: Un uomo onesto. Storia dell’imprenditore che morì per aver detto no alle tangenti. Scritto da Monica Zapelli, l’autrice del film I cento passi, è stato edito da Sperling & Kupfer nel 2012. “Questa è la storia di un uomo normale”, scrive Zapelli. “Ambrogio Mauri non voleva fare la rivoluzione, voleva costruire autobus”. Impresa impossibile, nella Milano di Tangentopoli dove molte gare d’appalto si decidevano in un ufficio di piazza Duomo 19. Allora, le buste chiuse delle gare d’appalto, con le offerte più innovative, competitive e convenienti, erano meno pesanti delle buste gialline delle mazzette ritirate dalla Enza Tomaselli, la mitica segretaria di Bettino.

Nel 1992 di Mani Pulite, Ambrogio Mauri va a una serata organizzata dall’Associazione industriali di Monza, che ha invitato a parlare Antonio Di Pietro. Il magistrato spiega che cosa gli imprenditori potrebbero fare per spezzare il patto che li lega ai politici e agli amministratori che decidono le commesse pubbliche. Ambrogio Mauri si alza, si volta verso la platea dei suoi colleghi industriali e dice: “Alzi la mano chi di noi non ha mai pagato almeno una volta l’ufficio acquisti di un’azienda”. Alza la mano. Si guarda attorno. È l’unico. Allora si rivolge a Di Pietro: “Dottore, o sono tutti monchi, o lei deve cambiare mestiere”.

Bruno Rota, quando arrivò al vertice di Atm chiamato dal sindaco Giuliano Pisapia, regalò per Natale il libro su Ambrogio Mauri a tutti i manager dell’azienda. Fu uno choc. Ne regaleremo una copia anche all’attuale sindaco di Milano, Giuseppe Sala, così che ne possa tener conto, nel caso volesse dedicare una via a qualche personaggio che ha onorato la città, o consegnare un Ambrogino d’oro alla memoria. Sarebbe bello che leggesse questo libro anche Stefania Craxi, che ha perso un padre e conosce dunque il dolore di Roberta, Carlo e Umberto, figli di Ambrogio Mauri.

Il Fatto quotidiano, 23 gennaio 2020
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