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San Siro, uno stadio nuovo come scusa per costruire grattacieli

San Siro, uno stadio nuovo come scusa per costruire grattacieli

Il calcio è magico. E lo stadio di San Siro di notti magiche ai tifosi ne ha regalate tante. Ma nei prossimi mesi ci stupirà. Sta per scoccare la più grande magia della sua storia: la moltiplicazione dei milioni e del cemento. Milan e Inter hanno infatti chiesto al sindaco di Milano il via libera per costruire un nuovo stadio e abbattere quello vecchio. I giornali si sono concentrati sugli aspetti estetici del nuovo derby: è più bella la “cattedrale” trasparente disegnata da Populous o il “doppio anello” progettato da Manica-Cmr? Già escluse altre due proposte, lo “stadio verde” di Stefano Boeri e quello degli americani di Hok.

Ma a ben guardare, la storia del nuovo San Siro ha poco a che fare con lo stadio e il calcio e molto invece con grattacieli, alberghi, spazi commerciali: è un’operazione immobiliare da 1,2 miliardi di euro. Ecco la magia, la zucca che si trasforma in carrozza: un’area di 250 mila metri quadrati, oggi destinata ad attività sportive, con un tocco di bacchetta magica viene trasformata in area edificabile. La bacchetta magica si chiama legge sugli stadi e permette a Milan e Inter di chiedere un indice di edificazione di 0,70 (il doppio di quanto è concesso ai comuni mortali nel resto di Milano, 0,35). Protagonisti di questa saga: due squadre aliene di cui non si conoscono i proprietari; Paolo Scaroni, presidente del Milan; Alessandro Pasquarelli, amministratore delegato del gruppo Yard; Ada Lucia De Cesaris, capo dei renziani di Italia Viva a Milano; il sindaco Giuseppe Sala, incerto se dire sì all’operazione.

Macché stadio, grattacieli!

Lo stadio di San Siro c’è già. Funziona. Volendo, lo si può ristrutturare, ingrandire, migliorare. C’è un progetto che si chiama Re-thinking San Siro (ripensare San Siro) che dimostra come si possa farlo nuovo: abbattendo il terzo anello, ricostruendo il primo, togliendo le sette torri laterali, edificando un nuovo blocco sul lato ovest e installando una nuova copertura.

Questi interventi sarebbero sensati se si volesse davvero rinnovare “la Scala del calcio”. Ma non è questo l’obiettivo dei misteriosi padroni di Milan e Inter. Quello che vogliono è costruire, con la scusa dello stadio, un nuovo quartiere con negozi, uffici, centro commerciale, ristoranti, cinema, spazi per concerti e spettacoli. Un paio di grattacieli svettano nel progetto Populous (il colosso Usa che ha fatto prima lo studio di fattibilità e poi, in evidente conflitto d’interessi, ha presentato la sua proposta), ma anche in quello Cmr-Sportium con l’architetto statunitense David Manica.

Ristrutturare il Meazza costa troppo, dicono Milan e Inter: oltre 500 milioni, a cui si sommano 115 milioni di mancati introiti perché sarebbe necessario sospendere le partite per cinque anni. Costruire lo stadio nuovo costa invece 650 milioni. Fidarsi di queste cifre è però come chiedere all’oste se il suo vino è buono. Del resto, c’è in Italia un esempio di ristrutturazione realizzata senza perdere una sola partita: quella dello stadio Friuli di Udine, che certo è molto più piccolo di San Siro, ma che comunque è stato rinnovato in due anni senza mai interrompere le attività.

Ma se ristrutturi il glorioso Meazza, ottieni soltanto uno stadio rinnovato. Se invece lo abbatti e lo edifichi nuovo, grazie alla legge sugli stadi puoi costruire un sacco di roba attorno che con gli stadi non c’entra nulla, ma che fa incassare una montagna di soldi. Certo, bisogna dimenticare l’articolo 305 della stessa legge sugli stadi: “Gli interventi (…) sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti”. Ecco dunque i nuovi progetti, che permettono di realizzare il vero affare, che non è lo stadio: 180 mila metri quadrati di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi.

Interesse pubblico?

La legge sugli stadi prevede che l’operatore privato (in questo caso Milan e Inter alleati) presentino un loro progetto, poi l’amministrazione pubblica (il Comune di Milano) ha 30 giorni per stabilire se è d’interesse pubblico. Se l’amministrazione non decide in questi tempi, la pratica passa al governo. Per San Siro i 30 giorni scadono oggi, 10 ottobre 2019: ma il termine sarà prorogato. Anche perché è complicato definire d’interesse pubblico un’operazione immobiliare privata, realizzata su terreni pubblici e dopo aver abbattuto uno stadio pubblico: sia i terreni sia il Meazza sono infatti proprietà comunale.

“Perché allora il Comune non fa una vera gara?”, si chiede Luca Beltrami Gadola, direttore dell’autorevole giornale online Arcipelago Milano. “È un affare privato: dove sta la pubblica utilità? Il sindaco Sala dovrebbe stare anche attento alla Corte dei conti: non sta cedendo ai privati un valore che dovrebbe invece rimpinguare le casse comunali?”. Al Comune arriverebbero soltanto 55 milioni come oneri d’urbanizzazione e 5 milioni all’anno come canone, per una concessione di 90 anni. Mentre i ricavi stimati dalle squadre sono di quasi 200 milioni l’anno (70 dallo stadio e 125 da quello che chiamano “polo ricreativo”), con il rientro degli investimenti in 32 anni.

“L’operazione è un regalo alle due squadre”, sostiene anche Basilio Rizzo, decano dei consiglieri comunali. “Adesso il sindaco vuole coprirsi con un voto del consiglio, ma che cosa votiamo? Io non voto prima di vedere le 750 pagine che Milan e Inter hanno depositato a Palazzo Marino e che non vogliono farci vedere. Se non mi mettono a disposizione le carte, mi rivolgerò al Tar”. Oltretutto, conclude Rizzo, “ridurranno i posti, da 80 a 60 mila, e aumenteranno i prezzi dei biglietti”. Protestano anche gli abitanti del quartiere: perché lo stadio nuovo dovrebbe essere costruito a soli 60 metri dalle abitazioni.

Chi c’è dietro

David Gentili, presidente della Commissione comunale antimafia, è preoccupato per l’opacità di chi propone l’operazione: “Le normative antiriciclaggio impongono di sapere chi sono le persone fisiche che stanno dietro all’affare. Il Comune di Milano, dopo i rilievi dell’Anac (l’Autorità anticorruzione), si è riservato di non assegnare gli spazi in Galleria alle società che non dichiarano i propri titolari effettivi. Nel caso di Milan e Inter, abbiamo oscure catene di comando che si perdono nei paradisi fiscali delle Cayman, del Delaware, del Lussemburgo”.

L’azionista di maggioranza dell’Inter è Suning Holdings, società cinese di Zhang Jindong, che possiede il 68,55 per cento. “Alle Cayman”, ricorda Gentili, “sta il 31 per cento dell’Inter: controllato da Lion Rock, il fondo di Hong Kong guidato da Daniel Kar Keung Tseung, che ha acquistato (per conto di chi?) le quote di Tohir”.

La proprietà del Milan è un enigma ancora più grande. Il cinese Li Yonghong ha pagato alla Fininvest di Silvio Berlusconi oltre 600 milioni per avere la squadra e poi l’ha persa perché non è riuscito a trovarne altri 32. Strana storia, ma così i soldi sono girati, estero su estero, e il Milan è diventato, almeno apparentemente, americano: del fondo Elliott, che detiene il 99,93 per cento della squadra attraverso la lussemburghese Rossoneri Sport Investment Lux. La faccia che si vede, prima e dopo il kamasutra finanziario, è sempre quella di Paolo Scaroni, il più berlusconiano dei manager italiani, presidente del Milan e vicepresidente di Rothschild. La banca d’affari che, guarda caso, aveva garantito “la completa affidabilità finanziaria” di Mr. Li.

Quello che è trasparente invece è che i bilanci tanto del Milan quanto dell’Inter sono in rosso: 33 milioni per i rossoneri, 18 per i nerazzurri. Che cosa c’è di meglio, allora, di una succulenta operazione immobiliare per rimettere in sesto i conti? Ci sta pensando Goldman Sachs: la banca d’affari, già advisor dell’Inter per cui ha emesso un bond, ha preparato il piano finanziario dell’operazione San Siro. Lo studio di fattibilità è stato messo a punto da Yard, sviluppatore immobiliare che ha tra gli azionisti il gruppo DeAgostini e come amministratore delegato Alessandro Pasquarelli (ex ad di EuroMilano). Resta da segnalare un’altra perla del “Modello Milano”: nel gruppo di chi tratta con Sala per far riconoscere “l’interesse pubblico” all’operazione, c’è Ada Lucia De Cesaris, partner dello studio legale AmmLex, che lavora per le squadre ed è stato fondato da Guido Bardelli, già presidente della ciellina Compagnia delle opere. È la stessa Ada Lucia che fu vicesindaco di Milano e assessore all’urbanistica e che è appena passata dal Pd a Italia Viva, il nuovo partito di Matteo Renzi. (Il Fatto quotidiano, 10 ottobre 2019)

Ripensare San Siro si può. Costa meno, ma ai club non va

Più che il calcio, serve il ciclismo, per capire che cosa sta succedendo a Milano attorno allo stadio di San Siro. I protagonisti ora sono in surplace: fermi, come stanno i ciclisti in pista sulle loro biciclette, in attesa che l’altro faccia per primo la sua mossa o tiri la volata. Milan e Inter hanno avanzato la loro proposta: abbattere il Meazza e costruire un nuovo impianto, facendo scattare la legge sugli stadi che permette di innalzare edifici che rendono l’operazione un ricco investimento immobiliare da 1,2 miliardi di euro. L’amministrazione, il Comune di Milano, deve approvare il progetto e dichiarare “l’interesse pubblico”.

Entrambe le parti sono ferme e aspettano che si muova l’altro. Le squadre sono in attesa della decisione del Comune; il sindaco Giuseppe Sala non se la sente di decidere da solo con la sua giunta e ha chiesto che si pronunci il Consiglio comunale. Così i tempi si allungano. Sala ha già annunciato che il Meazza dovrà ospitare la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi invernali, dunque fino al 2026 non ha intenzione di farlo abbattere. Le due squadre hanno fatto filtrare di avere pronto un piano B: andare a costruire lo stadio sull’area Falck a Sesto San Giovanni. Più un bluff da poker che un’azione da gol.

Non sarà facile far scattare “l’interesse pubblico” per il progetto di Milan e Inter. Perché si dovrebbe realizzare su terreni pubblici e abbattendo uno stadio di cui è proprietario il Comune. Le dimensioni dell’affare sono ormai chiare: 180 mila metri quadrati di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi. Lo stadio sembra davvero solo il pretesto per costruire torri e grattacieli attorno. Secondo le cifre rese note dai proponenti, l’impianto sportivo costerà 650 milioni, quindi peserà solo la metà dell’investimento totale (1,2 miliardi). E renderà nel tempo molto di meno del resto: dei 200 milioni circa che le squadre prevedono di ricavare all’anno, solo 70 verranno dallo stadio e 125 da quello che chiamano “polo ricreativo”.

Al Comune, le briciole: 5 milioni all’anno come canone, per una concessione di 90 anni, più 55 milioni una tantum come oneri d’urbanizzazione. In questo scenario, riprende forza la soluzione di ristrutturare il Meazza. Non solo per la sua storia gloriosa, ma anche per evitare un’operazione che il Sala che plaude a Greta e scende in piazza con i ragazzi che manifestano per il futuro del pianeta non si può permettere. Ristrutturare costa meno (500 milioni) che abbattere e ricostruire (650 milioni). Ai costi di ristrutturazione, le squadre aggiungono altri 115 milioni di mancati introiti perché sarebbe necessario sospendere le partite – dicono – per almeno tre anni. Previsione dubbia, visto che a Madrid stanno rimettendo a nuovo lo stadio continuando a giocare.

Il progetto di ristrutturazione c’è. Si chiama chiama Re-thinking San Siro (ripensare San Siro) e prevede un’operazione in sei mosse. La prima: smontare l’attuale copertura. La seconda: demolire il terzo anello, realizzato nel 1990. La terza: rimuovere sette delle undici torri aggiunte nel 1987, lasciando soltanto le quattro agli angoli. Quarta mossa: rinnovare il primo anello. Quinta: costruire un nuovo edificio sul lato ovest, che possa ospitare bar, ristoranti, spazi commerciali, sale per incontri e altre funzioni. Sesta e ultima mossa: installare la nuova copertura. Gli spazi interni sarebbero riorganizzati, con la costruzione di sei sale vip, uno store di 750 metri quadrati, un museo di 1.000, un ristorante panoramico, bar, una nuova sala stampa. I posti a sedere, che oggi sono 79.344, alla fine dei lavori sarebbero 58 mila, con 8.150 posti “premium”. Rinnovare “la Scala del calcio”, dunque, si può. Ma non se il vero obiettivo è innalzare nell’area un paio di grattacieli. (Il Fatto quotidiano, 11 ottobre 2019)

Il Fatto quotidiano, 10 e 11 ottobre 2019
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