POLITICA

Siri. Non solo bancarotta, così Mr. Flat Tax portava i soldi all’estero

Siri. Non solo bancarotta, così Mr. Flat Tax portava i soldi all’estero
Armando Siri, senatore della Repubblica, sottosegretario ai Trasporti, militante leghista, teorico della flat tax, non sa nulla della mazzetta da 30 mila euro che – secondo le accuse della Procura di Roma – avrebbe preso dal professor Paolo Arata. Non sa nulla di emendamenti di legge cambiati per favorire il “re dell’eolico” Vito Nicastri. Non sa nulla dei rapporti tra Nicastri e il superboss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro.

Non può non sapere, però, di avere patteggiato, il 20 maggio 2014, davanti ai giudici del Tribunale di Milano, una condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione, ridotta a 1 anno e 8 mesi per la scelta di patteggiare. È una condanna per bancarotta fraudolenta: la sua società, Mediaitalia srl, è fallita lasciando debiti per oltre 1 milione di euro.

Il capo del suo partito, Matteo Salvini, dopo le accuse di corruzione avanzate nei giorni scorsi dalla Procura di Roma, lo ha difeso affermando che “Armando Siri è persona specchiata e onesta”. È stato il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, a ricordare però ieri anche la vecchia storia del patteggiamento per bancarotta e a dichiarare: “Per me uno che patteggia una bancarotta è colpevole di una bancarotta. E la bancarotta è un reato grave, anche se evidentemente il ministro Salvini la pensa diversamente”.

Ma c’è di più. La vicenda del crac Mediaitalia è già stata in parte raccontata dai giornali e Siri ha tentato di spiegarla come la conseguenza spiacevole di un affare andato male. Succede, a chi si accolla il rischio d’impresa, di non farcela e fallire. Nel suo caso, però, non è andata così. Ciò che i giornali non hanno ancora raccontato è che il suo patteggiamento non riguardava soltanto la bancarotta, ma anche un altro reato: la “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”. Siri ha nascosto soldi all’estero per non pagare le tasse e non doverli restituire ai creditori.

La sua società inizia a operare nel 2002. Con due soci, produce contenuti editoriali per media e aziende. Ma gli affari vanno male e nel 2005 ha già un rosso di 1 milione di euro. Che cosa fanno allora Siri e i soci? Chiudono Mediaitalia, di cui viene nominata liquidatrice una cittadina dominicana, che di mestiere fa la parrucchiera. Una prestanome, secondo i giudici, una testa di legno.

Intanto Mediaitalia viene svuotata e il suo patrimonio viene trasferito a un’altra società, la Mafea Comunication, così i creditori restano a bocca asciutta. Altre due società in cui Siri ha ruoli spariscono dall’Italia trasferendo la sede legale nel Delaware, paradiso fiscale nel cuore degli Stati Uniti.

Quanto al reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, i giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Milano scrivono che Siri e i suoi complici “ordiscono un’operazione” in quattro mosse, al fine, appunto, “di consentire a Mediaitalia srl di sottrarsi fraudolentemente al pagamento delle imposte”.

Prima mossa: costituiscono una nuova società, la Mafea Comunication srl, “alla quale, senza alcun contratto né corrispettivo, venivano ceduti tutti i beni mobili, le attrezzature, i computer di Mediaitalia srl, nonché un contratto di leasing avente a oggetto una autovettura Mercedes Slk 200”.

Seconda mossa: trovano la prestanome per far gestire Mediaitalia ormai in stato di decozione, nominando liquidatrice Nancy Maria Marte Milniel, che i giudici definiscono “vera e propria testa di legno, priva del benché minimo ruolo gestionale”. Terza mossa: il 12 aprile 2007 il Tribunale di Milano emette la sentenza che dichiara fallita Mediaitalia.

Poi arriva la quarta mossa. Siri, socio di maggioranza della società Top Fly Edizioni srl, delega un commercialista, Antonio Carlomagno, a diventare presidente dell’assemblea straordinaria e a deliberare “di azzerare il capitale sociale, al fine di coprire la perdita emersa dal bilancio d’esercizio, chiuso al 31 dicembre 2006”.

Così spariscono altri 2 mila euro, il valore della quota sociale vantata da Mediaitalia in Top Fly Edizioni. Carlomagno è lo stesso professionista che viene indagato (e poi assolto) nell’inchiesta sulla Perego Strade, la società di Lecco scalata e spolpata dalla ’ndrangheta tra il 2008 e il 2010.

L’operazione in quattro mosse ottiene il risultato di togliere al fisco 162 mila euro, tra cui 96 mila euro di imposte non pagate, 4,8 mila euro di contributi Inps e 62 mila euro di contributi Enpals non versati.

Quanto al reato di bancarotta fraudolenta, Siri e i suoi complici “cagionavano il fallimento della società per effetto di operazioni dolose”, “svuotando il patrimonio sociale attraverso operazioni distrattive”. Ma, per Salvini, Siri resta “persona specchiata e onesta”.

Il Fatto quotidiano, 20 aprile 2019
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