POLITICA

Il più potente dei leghisti: Giorgetti, quello della tangente restituita

Il più potente dei leghisti: Giorgetti, quello della tangente restituita

Nella Lega c’è chi ci mette la faccia, la felpa e la ruspa, come Matteo Salvini, e chi invece resta dietro le quinte a tessere rapporti e tirare i fili: come Giancarlo Giorgetti da Cazzago (paesetto di 800 anime a un soffio da Varese). Bocconiano, commercialista, leghista della prima ora, parlamentare del Carroccio dal 1996, oggi Giorgetti è indicato come l’ambasciatore di Salvini che parla con il Movimento 5 stelle, nonché il candidato a diventare presidente della Camera, in uno schema che vedrebbe il Cinquestelle Danilo Toninelli a presiedere il Senato. Il terreno è scivoloso, è un mondo difficile, felicità a momenti e futuro incerto, ma Giorgetti è abituato ai passaggi complicati.

È un leghista di lotta e di governo: viene eletto per acclamazione segretario nazionale della Lega Lombarda, partecipa a improbabili raduni in un crotto di Lugano con Umberto Bossi e i caporioni svizzeri della Lega Ticinese; ma dà il meglio di sé nei palazzi romani, capogruppo del Carroccio alla Camera, presidente della commissione Bilancio, relatore della manovra economica correttiva del 2011, sottosegretario ai Trasporti di un governo Berlusconi. Nel 2013 il presidentissimo Giorgio Napolitano lo chiama a far parte del “Gruppo dei saggi” a cui affida il compito di dettare il programma di un governo che ancora non c’era.

Senza troppa fantasia, è stato definito “il Gianni Letta della Lega”. In effetti ha gestito, dietro le quinte, le partite più delicate della politica e dell’economia, spesso in coppia con un altro fiscalista nordista, Giulio Tremonti da Sondrio. Dove c’era da trattare con gli altri partiti per piazzare un leghista, l’Umberto mandava il Giorgetti: Expo, FieraMilano, A2a, Malpensa, fondazioni bancarie, banche popolari… “Chiedete a Giorgetti”, era il ritornello. Erano suoi i dossier più delicati, mentre Bossi arringava le folle sul pratone di Pontida, per essere poi fatto fuori dai “barbari sognanti” di Roberto Maroni a sua volta liquidato dal Salvini della Lega senza più il Nord: i capi della Lega passano, Giorgetti resta. Anche l’ultimo passaggio, dalla Lega di Maroni in doppiopetto (e amica di Silvio Berlusconi) al partito nazionale un po’ lepenista e un po’ no di Salvini, senza la benedizione di Giorgetti non sarebbe stato possibile. Adesso tocca a lui consolidare il buon risultato ottenuto.

Chi si ricorda più, del resto, le disavventure di famiglia? Sua moglie, Laura Ferrari, nel 2008 ha patteggiato una condanna a 2 mesi e 10 giorni per aver gonfiato il numero di partecipanti del suo corso di equitazione, per ottenere più fondi dall’Unione europea. Non si darà certo all’ippica per questo. Solido era il suo rapporto con Gianpiero Fiorani, il banchiere della Popolare di Lodi arrestato nel 2005 per le scalate dei “furbetti del quartierino”. Era stato Fiorani ad aiutare la Lega a comprare il simbolico pratone di Pontida e la solida sede milanese di via Bellerio. Era stato Fiorani a salvare la banchetta del Carroccio, Credieuronord, gestita in maniera a dir poco approssimativa, tanto da bruciare i risparmi di tanti leghisti molti anni prima di Etruria: i debiti della banca sono stati annegati nella pancia della Popolare di Lodi, nel 2004, mentre i 2.600 soci dell’istituto, fedeli militanti leghisti che ci avevano creduto, ci hanno perso dei bei soldi.

In cambio del salvataggio, Giorgetti garantisce il pieno sostegno della Lega alle scalate bancarie dei “furbetti” e al padrino di Fiorani, il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Fiorani ringrazia: lo ammette ai magistrati che lo avevano arrestato: “È vero che sono entrato in Parlamento con i soldi… Quando sono entrato nell’ufficio di Giorgetti gli ho detto che ero passato per ringraziarlo per l’appoggio che aveva dato a Fazio e per quello che speravo potesse dare per l’operazione Antonveneta. Io ho lasciato un giornale con dentro una busta contenente 100 mila euro sulla sua scrivania. Lì per lì Giorgetti, pur sapendo che gli stavo dando una busta… non ebbe alcuna reazione. Tuttavia la sera stessa mi telefonò con aria preoccupata dicendomi che dovevo passare subito da lui. Poiché ero già in aereoporto mi impegnai a ritornare da lui qualche giorno dopo… In quell’occasione, Giorgetti mi disse che non voleva assolutamente ricevere denaro perché lui era contrario volendo moralizzare le prassi del partito. Aggiunse che se volevo potevo aiutare la polisportiva Varese con una sponsorizzazione”.

Ora il “moralizzatore delle prassi del partito” diventerà presidente della Camera?

Il Fatto quotidiano, 15 febbraio 2018 (versione ampliata)
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