GIUSTIZIA

Legge sulle intercettazioni: corsa a ostacoli per difesa e accusa, bavaglio per i cronisti

Legge sulle intercettazioni: corsa a ostacoli per difesa e accusa, bavaglio per i cronisti

L’avvocato Caterina Malavenda e il magistrato Sebastiano Ardita sulla nuova disciplina per le intercettazioni telefoniche. 

1/Caterina Malavenda, avvocato

L’hanno voluta fare ad ogni costo, la nuova legge sulle intercettazioni, con il risultato di rendere più complicata la valutazione d’accusa per il magistrato che svolge le indagini, più difficile la difesa per gli avvocati degli indagati, più incerto il diritto di cronaca per i giornalisti e più debole, per i cittadini, il diritto a essere informati. Chiediamo all’avvocato Caterina Malavenda di guidarci nel ginepraio delle nuove norme.

Che cosa cambia per il pubblico ministero che svolge le indagini?

Il pm delega alla polizia giudiziaria il compito di selezionare le intercettazioni irrilevanti per l’inchiesta, che non saranno più trascritte né sintetizzate nel brogliaccio, ma solo elencate con data, ora e numero di telefono: ne resterà soltanto la registrazione audio, a disposizione degli avvocati che vorranno ascoltarle. È vero che, dal punto di vista operativo, chi sta materialmente all’ascolto tutto il giorno capisce meglio il contesto delle telefonate e, quindi, che cosa è rilevante e che cosa non lo è. Ma il risultato è che il pm di fatto si affiderà totalmente alla polizia giudiziaria, senza neppure avere un brogliaccio su cui ragionare. Finirà così per lasciare la scelta interamente a un altro soggetto che, anche in perfetta buona fede, potrebbe fare degli errori o non capire o sottovalutare alcuni elementi.

In più, la polizia giudiziaria è soggetta a una catena di comando, deve riferire ai superiori gerarchici. Questo potrebbe rendere più difficili le indagini su personaggi potenti e con forti relazioni di potere.

Il pm mantiene la facoltà di fare tutte le verifiche che vuole. Per lui sarà più facile eliminare le intercettazioni non rilevanti, che reperire e aggiungere quelle che la polizia giudiziaria ha eliminato. Come farà a valutare, se non ascoltando tutto, non avendo neppure i brogliacci? Come farà a orientarsi, specialmente in indagini complesse con decine di indagati e centinaia di telefonate?

Anche per gli avvocati sarà più complicato difendere i loro assistiti?

I difensori avranno a disposizione i brogliacci delle intercettazioni rilevanti per l’accusa e un elenco “muto” di contatti irrilevanti, senza indicazioni per distinguere quelle che potrebbero essere utili. Non possono certo desumerlo dai soli numeri di telefono. Potrebbero essere interessanti anche le conversazioni tra due estranei, non identificabili dal solo numero. Come faranno a reperire quelle eventualmente utili per i loro clienti? Per di più, potranno sentire gli audio, ma senza averne copia e con al massimo venti giorni a disposizione. Un disastro per il diritto di difesa. Tutte le altre intercettazioni finiranno in un archivio della cui segretezza risponde il pm e che resteranno riservate fino alla fine del processo e poi saranno distrutte. Se contenessero informazioni di interesse pubblico, nessuno lo saprebbe mai, a meno che qualcuno dei pubblici ufficiali che ne dispone non decidesse di violare il segreto d’ufficio.

Però l’ordinanza d’arresto del gip sarà interamente pubblicabile. Questo viene presentato come una conquista per l’informazione.

L’ordinanza d’arresto conterrà solo le intercettazioni che il gip avrà selezionato, fra quelle che il pm ha usato per chiedere la misura cautelare. Anche eliminando e restituendogli quelle che avrà ritenuto irrilevanti ai fini della misura da applicare, ma che magari potrebbero essere utili per l’inchiesta.

Mi chiedo: perché consentire la pubblicazione della sola ordinanza, in genere non tenera con l’indagato? Sembra un contentino per gli organi di informazione. E perché invece non consentire anche la pubblicazione di altri atti, che contengono fatti, come per esempio gli interrogatori, che magari potrebbero essere più favorevoli per l’indagato?

La nuova legge vieta di divulgare le conversazioni registrate a insaputa dei partecipanti.

Sì, il divieto riguarda, però, solo la divulgazione fatta con lo scopo di danneggiare la reputazione o l’immagine di qualcuno e la pena, non modesta, arriva fino a 4 anni. Non è punibile, se fatta per difendersi o per diritto di cronaca. Dunque, se a divulgarle non è un giornalista, chi lo fa commette un reato? La norma è poco chiara: dice che la divulgazione deve essere “diretta e immediata”. Non è chiaro quale sia la condotta consentita. Se la registra una persona e la divulga un’altra, esercitando il diritto di cronaca, qualcuno sarà punibile? Non è la sola incertezza. Insomma, la nuova legge è piuttosto confusa e difficilissima da applicare.

2/Sebastiano Ardita, magistrato

L’obiettivo della nuova legge sulle intercettazioni telefoniche? “Limitare il pericolo di abusi nella loro diffusione. Ma questi potevano essere evitati anche con la legge precedente”. Così la pensa Sebastiano Ardita, per anni direttore dell’Ufficio detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e ora procuratore aggiunto a Catania.

Una legge poco utile, dunque?

Il nuovo decreto legislativo, secondo la nota di Palazzo Chigi che lo accompagna, ha come finalità “l’equilibrata salvaguardia fra interessi parimenti meritevoli di tutela a livello costituzionale”. Mi sforzo di comprendere quale sia l’equilibrio tra interessi contrastanti, visto che tutti gli interessi – delle parti, dell’informazione e dei cittadini – vengono sacrificati per limitare il pericolo di possibili abusi nella diffusione delle intercettazioni che potevano essere evitati anche con normativa precedente.

La polizia giudiziaria assume un ruolo determinante, avendo il compito di scegliere quali sono le conversazioni intercettate rilevanti e scartando le altre.

Sì, sorprende non poco che la funzione di garanzia, rispetto alla possibilità di tutela di un generico interesse alla privacy, retroceda dal magistrato alla polizia giudiziaria. In teoria il vaglio di rilevanza dovrebbe farlo la polizia giudiziaria insieme al pubblico ministero. Sia ben chiaro che nelle Procure ci fidiamo di coloro che eseguono per nostro conto le intercettazioni, ma rimane da comprendere se sia coerente con il sistema processuale la sostituzione del pm con la polizia nella valutazione della “rilevanza giuridica” di un atto processuale.

Che conseguenze potrebbe avere questa “retrocessione” dal pm alla polizia giudiziaria?

Conseguenze pratiche ad ampio spettro: da una deresponsabilizzazione del pm a uno strapotere della polizia: quale “salvaguardia di interesse” si è voluta con questa disposizione? Sarebbe la prima volta che l’autorità giudiziaria, in nome e per conto della quale vengono svolte le attività tecniche, non dispone materialmente dei dati investigativi e non è in grado di operare scelte che potrebbero essere determinati nel divenire delle indagini.

La riforma limita l’utilizzo dei “trojan”, i virus informatici che inviati a un telefonino o a un computer ne risucchiano i contenuti.

Sì, la nuova legge riduce la possibilità di utilizzare i “trojan”. Li rinchiude in limiti più ristretti rispetto a quelli permessi finora dalla giurisprudenza.

Arriva anche un nuovo reato, che punisce chi registra conversazioni senza il consenso di chi viene registrato.

Sì, viene introdotto un nuovo reato, punito fino a 4 anni di carcere, per chi diffonde registrazioni di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione. Vero è che la legge limita il reato all’atto della diffusione – e non a quello della registrazione – e al fine specifico di recare danno all’altrui reputazione o immagine: ma si tratta comunque di novità rilevante.

Non è una norma a garanzia della privacy di chi partecipa alla conversazione?

Le registrazioni effettuate all’insaputa dei conversanti rappresentano un grave reato contro la privacy, ma sono attualmente già punite. Quelle invece effettuate da uno dei conversanti sono state sempre considerate legittime dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Per più ragioni. La prima è che consentono di provare il contenuto di una conversazione tra due persone avvenuta senza testimoni, la seconda è che chi riferisce qualcosa a qualcuno deve assumersi la responsabilità di ciò che riferisce.

Ora invece che cosa cambia?

Una parte non potrà provare ciò che le è stato detto a quattrocchi e dunque l’unico interesse difeso da questa disposizione è il diritto di mentire o di negare ciò che si è in precedenza detto o fatto: un interesse non proprio commendevole, direi non degno di una tutela estrema come quella penale. Per assurdo, se qualcuno – per fare un esempio – attribuisce falsamente una dichiarazione razzista a chi non l’ha mai fatta, è punito (per diffamazione) con una multa; ma se uno tira fuori la registrazione di una frase razzista pronunciata davvero in sua presenza, può prendere fino a 4 anni di reclusione!

Nella stessa legge che riforma le intercettazioni si modifica anche l’ordinamento penitenziario.

Già. Nella parte sulle intercettazioni, per queste ipotesi di reato senza allarme sociale, gli anni di reclusione (teorici) fioccano. Mentre il nuovo ordinamento penitenziario, riformato nello stesso tempo e dentro la stessa legge, fa cadere alcuni automatismi a chi è in regime di 41 bis (il carcere duro), con il risultato di consentire ai mafiosi condannati di tornare in libertà. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.

Il Fatto quotidiano, 30 dicembre 2017 e 3 gennaio 2018
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