POLITICA

Il referendum-propaganda di Bobo (a spese nostre)

Il referendum-propaganda di Bobo (a spese nostre)

I referendum sono una cosa bellissima, una festa della democrazia. Ma il referendum lombardo per l’autonomia che si terrà il 22 ottobre è un imbroglio: il presidente della Regione Roberto Maroni lo sta usando come pezzo forte della campagna elettorale per la sua rielezione. Campagna elettorale per un uomo, Maroni, e per un partito, la Lega. Ma a spese dei cittadini. E che spese: 2 milioni di pubblicità per far sapere che c’è il referendum, affiggendo in tutte le piazze grandi manifesti listati di verde (è il colore della Lega, ma anche della Regione Lombardia); e 23 milioni per i 24 mila tablet (con annesso software speciale) con cui i lombardi voteranno, sperimentando per la prima volta un voto elettronico. A questi 25 milioni di euro vanno aggiunti i costi per gli scrutatori e per tenere aperti i seggi.

Sono i costi della democrazia, potrebbe obiettare qualcuno: ma non è democrazia un referendum che è di fatto un plebiscito di partito, con cui la Lega di Maroni – ormai diversa da quella sovranista di Matteo Salvini – cerca di tornare alle vecchie parole d’ordine dell’autonomia per il Nord. Dice il gesuitico quesito referendario: “Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?”.

Rileggetelo un paio di volte e capirete che questo referendum è anche del tutto inutile: non tanto perché è consultivo e quindi non obbliga ad alcuna decisione; ma quanto perché il suo obiettivo dichiarato è far intraprendere alla Regione Lombardia “le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Ma a Maroni occorre un referendum per fare quello per cui è stato eletto nel 2013, cioè andare a chiedere al governo più soldi e più autonomia? Non lo sa fare da solo? Perché non lo ha già fatto in questi quattro anni?

Già nella campagna elettorale del 2013 aveva promesso di tenere in Lombardia il 75 per cento delle tasse versate dai lombardi. Slogan bugiardo: non lo ha fatto, anzi non ci ha neppure provato. Non ha avviato alcuna procedura in Consiglio regionale a Milano né alcuna trattativa con il governo a Roma per ottenere una “autonomia rafforzata” secondo quanto previsto dalle misure federaliste introdotte in Costituzione nel 2011.

Resta il rito propagandistico del referendum del 22 ottobre. Campagna elettorale gratis (anzi: a spese nostre) per la Lega di Maroni. Siccome poi però le ciambelle non sempre riescono con il buco, ecco che è saltato fuori Giorgio Gori, sindaco di Bergamo e probabile candidato del Pd a sfidare Maroni alle prossime elezioni regionali, che ha smontato il giocattolo di Bobo. Gli ha rubato il pallone. “Cari compagni, votiamo sì al referendum di Maroni”, ha proposto. Le spiegazioni sono alte: “Il federalismo differenziato è da sempre una nostra bandiera”, ha detto.

L’effetto tattico è geniale: se anche il Pd vota sì, la vittoria (in questo referendum truffa non c’è quorum) non sarà di Maroni, ma di tutti coloro che andranno a votare sì. Così vinceranno tutti: leghisti di Maroni, leghisti di Salvini, uomini di Forza Italia, camerati di Fratelli d’Italia, compagni del Pd di Gori con al seguito Giuseppe Sala e sindaci dem, perfino Cinquestelli galvanizzati dal primo voto elettronico della storia italiana. A perdere saranno solo i cittadini, che pagheranno 25 milioni per un istituto bellissimo trasformato in un rito inutile.

Il Fatto quotidiano, 28 luglio 2017
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