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Che gioia: Mafia Capitale non c’è

Che gioia: Mafia Capitale non c’è

Che gioia: Mafia Capitale non c’è. La sentenza di ieri al processo contro Massimo Carminati, Salvatore Buzzi & co ha scatenato orgasmiche ondate di felicità negli ambienti politico-giornalistici che non vedevano l’ora che la Procura di Roma fosse smentita. “È solo corruzione!”, gridano entusiasti, festeggiando condanne di 20 anni come fossero assoluzioni. Ma cosa c’è mai da festeggiare? I fatti sono stati confermati. Le condanne sono state pesanti. Fossero tutte così, le sconfitte dei magistrati d’accusa!

Certo, è caduta la qualificazione mafiosa dell’organizzazione criminale che operava a Roma. Certo, 25 anni dopo le stragi mafiose del 1992 che eliminarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la mafia non è più di moda. Neppure quella doc, del Sud: si chiede che Totò Riina torni a casa, ci si commuove per quel pover’uomo di Bruno Contrada, Marcello Dell’Utri si proclama prigioniero politico. A Roma, poi, la banda di Carminati che teneva insieme destra e sinistra alternando minacce mafiose e corruzione politica non è considerata mafia doc.

Senza coppola e lupara, è più difficile condannare per associazione mafiosa una banda organizzata originale e autoctona. Del resto, “l’antimafia non tira più. Non va di moda, non è più glam”, scriveva Il Foglio già nel febbraio scorso. Speriamo che il contagio non arrivi anche al Nord, dopo le tante condanne per mafia che hanno colpito i gruppi criminali che si sono impiantati in Lombardia, in Piemonte, in Liguria, in Veneto, in Emilia…

A Milano è scattata un’altra condizione ambientale: le condanne per mafia ci sono, ma si fa finta di niente e si celebrano le magnifiche sorti e progressive della città occultando la polvere mafiosa sotto il tappeto delle sfilate di moda. Vi ricordate che a Milano è stato condannato a 13 anni e mezzo di reclusione uno degli assessori regionali di Roberto Formigoni, Domenico Zambetti, che aveva comprato voti dalla ’ndrangheta (cosche Di Grillo-Mancuso e Morabito-Bruzzaniti di Africo), pagando 4 mila preferenze 50 euro l’una?

Vi ricordate che l’intera giunta comunale di Corsico, paesone ai confini di Milano, ha dovuto dimettersi per aver dato allegramente il patrocinio a una festa, la Sagra dello Stocco, organizzata da Vincenzo Musitano, genero del boss della ’ndrangheta Giuseppe Perre detto ’u Maistru? Vi ricordate che a Milano, al numero 33 di viale Brianza, è stato arrestato, nel gennaio 2017, Antonio Piromalli, rampollo di una delle più potenti famiglie della ’ndrangheta calabrese, che aveva messo le mani sull’Ortomercato, importante nodo commerciale per tutto il Nord Italia?

Vi ricordate che la Fiera di Milano è stata semi-commissariata dai giudici, per le infiltrazioni degli uomini della mafia siciliana vicini al superboss Matteo Messina Denaro? Vi ricordate che le imprese legate alle cosche calabresi Aquino-Coluccio di Gioiosa Jonica e Piromalli-Bellocco di Rosarno si erano aggiudicate lavori Expo per Palazzo Italia, le vie d’acqua, i cluster, la “piastra”, i padiglioni di Cina ed Ecuador?

Ortomercato, Fiera di Milano, Expo. ’Ndrangheta e Cosa nostra. Comune di Milano (che controlla l’Ortomercato) e Regione Lombardia (da cui dipende la Fiera). Se per i giudici di primo grado a Roma non c’è più Mafia Capitale, si può però dire che a Milano le due più temibili organizzazioni criminali italiane hanno conquistato non un distributore di benzina, ma pezzi di due importanti centri economici a guida pubblica, dipendenti dal potere politico. Eppure nessun giornale e nessun commentatore ha messo in collegamento i fatti, interrogandosi sulle ricadute di sostanza e d’immagine che possono avere sulla città più glam d’Italia. È Milano, Mafia Capitale (Morale).

Il Fatto quotidiano, 21 luglio 2017
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