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Bruno Rota, il manager che a Milano voleva fare grande Atm

Bruno Rota, il manager che a Milano voleva fare grande Atm

Immaginatevi la faccia dei dirigenti dell’Atm, l’azienda milanese dei tram e del metrò, quando aprono il pacchetto del regalo di Natale mandato dal loro nuovo capo, il presidente Bruno Rota: un libro, Un uomo onesto, scritto da Monica Zapelli, la sceneggiatrice del film Centopassi. Sottotitolo: “Storia dell’imprenditore che morì per aver detto no alle tangenti”. Si uccise, Ambrogio Mauri, piuttosto che pagare mazzette per vendere i suoi autobus all’Atm. Un suicida di Tangentopoli, ma di quelli dimenticati. Era il 2012 quando quello strano regalo di Natale fece sbiancare qualche faccia, nel bel palazzo di Foro Buonaparte a Milano. Rota era stato nominato dal sindaco Giuliano Pisapia per cambiare aria. E l’ha cambiata. Ora se ne va.

Dopo due mandati da presidente, non può farne un terzo, secondo le durissime regole (valide solo a Milano). Potrebbe restare come direttore generale, ma non resterà, dopo lo scontro che lo ha opposto al sindaco Giuseppe Sala. Rota, che prende sul serio il mandato di fare gli interessi delle aziende di cui è manager, ha cercato di esercitare il diritto di prelazione su una quota di M5 (il metrò linea lilla) per impedire che finisse dritta in bocca a Fs. Voleva sbarrare la strada alle Ferrovie, che stanno entrando nel business del trasporto pubblico locale, facendo concorrenza diretta ad Atm e con piani che puntano  addirittura ad annettersi l’azienda milanese. Sala lo ha bloccato, dicendogli di far andare i tram, non fare finanza.

Ha eseguito, zitto, obbedendo ai voleri del suo azionista unico. E ora se ne andrà. Eppure il trasporto pubblico a Milano è tra i migliori d’Italia. In città circolano decine di aneddoti che lo riguardano. Una volta vede passare un autista di autobus che guida parlando al cellulare: si segna il numero della vettura e gli manda una letterina. Un’altra volta prende il metrò e non vede l’addetto di stazione nella guardiola: lo aspetta pazientemente, oltre il tempo consentito per una pausa pipì, poi quando torna lo affronta e gli chiede spiegazioni. Un’altra volta ancora, passando in piazza Missori, vede gli addetti a una riparazione delle rotaie: troppi per quel lavoro, con troppa gente che sta a guardare. Si avvicina e chiede a ciascuno le sue mansioni: “Ma chi cazzo sei?”, gli rispondono; “Il presidente dell’Atm”.

Ha una storia, Rota. Comincia facendo il giornalista al Sole 24 ore, poi fa il manager: all’Iri con Romano Prodi, alla Sme, a Finagra. Fa l’amministratore di Finlombarda, Fincapital, Alfa Romeo Usa, Italgel. Poi arriva a Serravalle spa, la società dell’autostrada Milano-Genova. Qui gliene capitano di tutti i colori. Da direttore generale, si trova a subire le pressioni dell’azionista politico: la Provincia di Milano. L’assessore provinciale Luigi Cocchiaro (Forza Italia) gli spiega che l’appalto per la manutenzione del verde sulla Serravalle deve vincerlo un certo Aslan Pignatelli: per gli amici Gimmi, già condannato per fatti di droga negli anni 70, amico dei socialisti nella Prima Repubblica e dei berlusconiani nella Seconda, ma soprattutto amico del boss mafioso Gioacchino Matranga. Siccome Rota non sta al gioco, Cocchiaro cerca di essere più chiaro: “Guardi che in questa vicenda ci sono persone precise e decise”. Finirà in tribunale, con una condanna  per violenza privata e tentata turbativa d’asta.

Ma è l’appalto per i lavori autostradali il boccone grosso di Serravalle: e lo deve vincere il costruttore Marcellino Gavio, grande amico (e finanziatore) della presidente della Provincia, Ombretta Colli, e del suo fedelissimo assessore Cocchiaro. Rota non ci sta. Va dai magistrati e rivela che il 6 novembre 2002 Cocchiaro gli aveva fatto un discorso spiccio: “Mi disse che i lavori sarebbero stati fatti sicuramente da Gavio, che la Colli si sarebbe candidata alle elezioni europee del 2004… che le elezioni europee erano molto costose, che Gavio l’avrebbe sostenuta economicamente”. Ma intanto, guarda caso, Rota nel 2003 perde il posto: è cacciato dalla Serravalle. Viene richiamato, addirittura come presidente, quando nel 2004 Colli (Forza Italia) perde le elezioni provinciali e le vince Filippo Penati (Pd). Lieto fine? No. Perché anche Penati stringe un’alleanza di ferro con Gavio, tanto che a sorpresa gli compra la sua quota di azioni Serravalle, facendo sborsare alla Provincia ben 238 milioni di euro e regalando a Gavio una plusvalenza di 176 milioni. Nell’operazione, la Serravalle si indebita e ancora oggi non si è ripresa da quel salasso. Rota si oppone. Risultato: viene cacciato anche da Penati.

Ora tocca a Sala. Malgrado Rota abbia conseguito risultati brillanti, il sindaco non fa niente per tenerselo, almeno come direttore generale. Buoni rapporti con i potenti sindacati interni, 12 ore di lavoro al giorno, Rota dal 2012 ha messo ogni fornitura a gara pubblica. Così Atm è passata da un risultato netto di 5,1 milioni (2011) a 35 milioni (2016). Ha fatto 600 milioni d’investimenti in tre anni, senza aumentare l’indebitamento grazie a un margine operativo lordo passato da 97 milioni (2011) a 163 (2016). Di quei 600 milioni, 500 (l’83%) sono autofinanziati. Ci ha comprato 60 treni per il metrò e 330 bus, 250 tradizionali (di cui 125 già in servizio) e 80 ibridi. Ora saluta Sala e se ne va.

 

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Il Fatto quotidiano, 15 marzo 2017
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